Quelle mamme che portano un fiore al loro bimbo mai nato

Anna non riesce a darsi pace. Sono passati 20 anni da quando ha abortito ma ogni giorno con la mente torna a quel momento. Finché si fa coraggio ed alza il telefono. Il numero è quello del Centro aiuto alla vita della clinica Mangiagalli: «Vi prego - dice con un filo di voce - ditemi dove posso trovare il corpicino del mio bimbo. Vorrei solo portare un fiore sulla sua tomba». La direttrice del gruppo, Paola Bonzi, resta senza parole. Non ha cuore di confessare a quella donna che il feto del suo bimbo, dopo l’aborto, è stato gettato via. Di quella nascita mai avvenuta resta solo una scheda archiviata negli scaffali della clinica. «Sono rimasta sul vago - ammette - non ce l’ho fatta a dire la verità a quella donna. Mi diceva che quello del bimbo perso era un pensiero ricorrente che la perseguitava». Prima del 2007 venivano seppelliti al cimitero Maggiore solo i feti che avevano superato la 27esima settimana di gravidanza. Ora esiste il cimitero dei bambini mai venuti alla luce, a Lambrate. «Avrei tanto voluto dire a quella donna - racconta Bonzi - che avrebbe potuto portare il suo fiore a Lambrate. Ma il piccolo cimitero non esisteva ancora».
Sono tante le donne che, dopo l’aborto, si rivolgono al Centro di aiuto alla vita. Magari lo fanno dopo anni, ma lo fanno. Quasi tutte. Al momento dell’aborto, i medici chiedono alla paziente se preferisce occuparsi della sepoltura del feto o affidare le pratiche all’ospedale. La maggior parte delle donne, sotto shock, lascia fare tutto al personale medico per non avere altre preoccupazione, altro dolore sul momento. Poi se ne pente. «Parecchie donne - spiega la psicologa Benedetta Foa - sono costrette ad abortire. Le straniere vengono obbligate dal marito e molte italiane vengono lasciate da sole quando il loro compagno scopre della gravidanza. Non è una scelta loro. È comunque un abuso. Il cimitero di Lambrate se non altro è un luogo dove poter piangere, dove poter dare forma al proprio dolore. Quando non si ha nemmeno una foto o una tomba da visitare, diventa più difficile elaborare il lutto».
È il caso di Daniela che, dopo aver dato alla luce una bambina ha passato giornate intere a piangere. Ha poi confessato alle volontarie che non riusciva a pensare ad altro che al bambino perso l’anno prima, dopo 8 mesi di gravidanza. Ogni giorno, anche durante la nuova gravidanza, andava a trovarlo a Lambrate.

Aveva organizzato lei il suo funerale ed ora, anche se aveva tra le braccia la sua bambina, continuava a pensare a lui, al bimbo mai conosciuto. «L’abbiamo aiutata a elaborare il lutto e a reagire. Ora è una mamma serena».

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