Quelle storie "proustiane" senza tempo perduto

Da "Twin Peaks" a "Squid Game", la magia di non avere inizio né fine. E di rigenerarsi

Screen Showtime via YouTube
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Domande-tipo: «Quali sono le serie tv da vedere assolutamente?». «Quali le dieci serie tv più amate di sempre?». «Quali le serie che hanno cambiato la storia della tv?». Oppure - del tutto inutile - «Qual è la tua serie preferita?». Domande sbagliate. Quella giusta, semplicemente, è: «Quante ore, giorni, puntate, anni, attraverso tutte le epoche storiche, dall'antica Roma di Spartacus al 2058 di Westworld, abbiamo passato davanti a uno schermo televisivo o a uno ancora più piccolo - un pc, un iPad, lo smartphone - sul divano, a letto, in treno, in ufficio di nascosto, per vedere, uno dopo l'altro, dopo l'altro, dopo l'altro, in un eterno binge-watching, gli episodi di quella serie che ci piaceva, e poi di un'altra che ci piaceva ancora di più, e poi un'altra ancora che ci piaceva più di tutte... Fino alla prossima. Il cinema fabbrica sogni, le serie tv generano dipendenza.

Esistono dei siti in cui puoi digitare il titolo di una serie tv e selezionando il numero di stagioni viste ottieni il calcolo di quanti giorni, ore e minuti hai passato a guardarla. Inserendo quindi tutti i titoli visti, puoi sapere con assoluta precisione l'effettiva porzione di vita che hai trascorso fra sigle (molte meravigliose), season premiere, seriemadre e spin-off, drama, comedy, sit-com, trame orizzontali, trame verticali e cliffhanger... Chi ha guardato tutto Breaking Bad restando accanto a Walter White dall'inizio alla fine ha speso due giorni e 14 ore. Le venti stagioni di Grey's Anatomy vi hanno portato via quattordici giorni e 6 ore, mentre per l'intero Mad Men vi siete giocati tre giorni e 13 ore (e ne valeva la pena in effetti...). È tutta una questione di tempo.

Già, il tempo. Le serie televisive in fondo non hanno stravolto più di tanto le regole della visione; è soltanto un altro modo di raccontare la stessa storia di sempre: c'è un (anti)eroe che deve superare delle difficoltà per salvarsi o per salvare qualcuno o per arrivare da qualche parte; tutto qui. Le serie tv hanno mantenuto i generi del cinema (storico, fantascientifico, horror, western, poliziesco...). A un certo punto hanno mantenuto del cinema anche registi e attori. E in fondo non hanno cambiato neppure il supporto: quando nacquero le serie, la maggior parte di noi guardava già i film in televisione. Ma c'è una cosa che la serialità televisiva ha cambiato completamente. Ed è il concetto di tempo. Le serie tendono a stravolgere la struttura temporale del testo narrativo - la scansione classica in prologo, racconto, epilogo - senza mai una vera conclusione, in un flusso continuo di storie senza mai un vero inizio e una vera fine, in un continuo susseguirsi di episodi, situazioni, sotto-trame, nuovi personaggi, colpi di scena, linee narrative che si innestano una sull'altra, in cui ogni episodio apparentemente chiude una trama ma in realtà ne apre un'altra, dilatando il tempo all'infinito: ogni serie ha sempre più puntate, più stagioni, più protagonisti, nuovi intrecci che anticipano la storia principale, altri che la seguono, altri ancora che scartano di lato, narrazioni che seguono personaggi minori promuovendoli al ruolo di protagonisti, altre che avanzano, altre che tornano indietro, e poi quando il racconto sembra finito, ecco nuove stagioni, spin-off, cross-over, sequel, prequel, resurrezioni, ritorni, reboot, remake, revival, reunion... Dexter risorge dal suo stesso culto (c'è già il prequel Dexter: Original Sin e nel 2025 arriverà lo spin-off Dexter: Resurrection), la serie 24 diventa un film hollywoodiano con lo stesso protagonista, mentre la rapina de La casa di carta è interminabile, e quando poi finisce la banda si riunisce per un'altra avventura, e poi c'è il remake coreano, e poi c'è da raccontare l'antecedente di uno dei rapinatori... in una catena di storie senza una fine che formano una storia infinita, con un unico obiettivo, che il cinema non ha mai avuto: tenerti lì, attaccato allo schermo, non per due ore ma per anni, trasformando il piacere in fidelizzazione, il più a lungo possibile. La visione come una mania. Serialmania, appunto.

E poi c'è un altro aspetto; più generale. E cioè il fatto che molte serie, non solo quelle di maggior successo ma anche quelle apparentemente sbagliate (arrivate troppo presto e non subito capite), sono state capaci di cogliere il proprio tempo, interpretarlo (ci sono fior di saggi sociologici sulle metafore politiche di The Walking Dead o quelle relazionali di Friends), segnarlo, addirittura condizionarlo (l'impatto di E.R. sull'immaginario americano fu tale che nei primi anni in cui andò in onda la serie le iscrizioni alle facoltà di Medicina negli Usa triplicarono...) e persino anticiparlo (dobbiamo davvero citare tutte le preveggenze tecnologiche di Black Mirror?). Ed ecco le serie tv come prodotto specifico di un'epoca che quell'epoca sanno capirla, spiegarla, narrarla. Diventando a loro modo delle icone. Vogliamo partire da Twin Peaks? Ideata da David Lynch e Mark Frost, la serie aprì la strada a dibattiti e riflessioni sulla cosiddetta «televisione di qualità» e divenne nel decennio dei Novanta una visione imprescindibile. Angelo Badalamenti, che scrisse il tema di Twin Peaks, ha dichiarato che Paul McCartney, col quale stava collaborando agli Abbey Road Studios, gli raccontò che la Regina Elisabetta una volta interruppe un suo concerto privato per andare a vedere un episodio della serie. All'epoca in cui andava in onda sul canale televisivo ABC, fra l'aprile 1990 e il giugno 1991, e anche oltre, negli Stati Uniti divenne di moda organizzare delle proiezioni degli episodi, i cosiddetti «Twin Peaks Parties». Il diario segreto di Laura Palmer scritto da Jennifer Lynch, la figlia del regista, divenne un bestseller. E in effetti, dopo quella domanda - «Chi ha ucciso Laura Palmer?» - niente fu più come prima. Poi, arrivò tutto il resto.

La frase divenne un tormentone e in Italia la serie conobbe un tale successo che tra 1991 e 1992 molti casi di omicidio nei piccoli paesi di provincia venivano paragonati dai giornali (con annessi titoli ad effetto) a quello di Laura Palmer. E qualcuno di noi, ragazzo all'epoca, si ricorda di aver letto su Topolino la storia intitolata I dolci segreti di Twin Pipps... Ecco cosa significa creare un immaginario. E così tutte le altre serie.

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