Questo Paese ha bisogno dei caterpillar

La lapide tombale sulla un tempo ammirata impresa di Walter Veltroni sindaco di Roma dopo la bruciante sconfitta soprattutto politica del Pincio, viene oggi da Alberto Arbasino, il più distaccato dalle polemiche quotidiane e dalle posizioni ideologiche ma certamente il più autorevole, sul piano della cultura e della sensibilità, tra i nostri scrittori.
Arbasino scrive: «L’affare del Pincio è apparso presto spiacevole e inutile, perché sfasciare un sito così illustre e perfetto solo per guadagnare qualche centinaio di posti-auto diventa ridicolo in una città dove circola un milione di macchine». L’osservazione è pertinente e definitiva. Ma Arbasino non si ferma. E ogni sua frase è un colpo mortale all’amministrazione Veltroni, dalla forzata «pedonalità del tridente», alle «condizioni schifose di Villa Borghese», fino alla maledizione all’attuale sistemazione dell’Ara Pacis: «Ma ancor più orribile risulta adesso la biasimata “teca” sull’Ara Pacis... Bastava mettere a norma la teca precedente, discreta vetrata e restaurata dai Rotary, così come si conservano gasometri e pastifici e rimesse tranviarie non griffate di quella stessa epoca. Invece di costruire muraglie presuntuose e fontanelle massicce che cancellano ogni vista sulle due celebri chiese di qua e sul Tevere di là».
Arbasino s’interroga se convenga «abbattere le arroganti “ali laterali”, che servono soprattutto a mostre e convegni clientelari di livello bassissimo». Arbasino non salva nulla ma la descrizione di molti orrori risparmia a noi. Ho ricordato il Pincio e l’Ara Pacis perché sono gli esempi più immediati di due cantieri uno bloccato sine die e, si spera, per sempre; l’altro, malauguratamente, condotto a termine. Chiunque sa che io contrasto l’Italia degli sprechi, ma sono fermamente convinto dell’opportunità di portare a termine le grandi opere, le infrastrutture e le opere pubbliche iniziate pur con l’avvicendarsi delle parti politiche. Ci si accanisce offrendo la copertura del pubblico, dello Stato, delle sovrintendenze più pavide che tecniche e spesso capricciose, ostacolando e rallentando dove inutile e autorizzando dove tutto suggerirebbe di conservare. Proprio com’è accaduto al Pincio colla posizione pilatesca dei tecnici, subordinati a Veltroni e alla sua amministrazione, e richiamati all’ordine e alle loro responsabilità (tecniche) dai politici.
È vero, molte grandi opere in Italia sono sospese o rallentate fino allo sfinimento. Ma in gran parte ciò dipende dall’irresolutezza delle sovrintendenze. Così è stato per i parcheggi di piazza Meda a Milano e così anche per quelli minacciati, a Sant’Ambrogio e alla Darsena. Il comune chiede, la sovrintendenza prende tempo, indaga, perlustra, dovrebbe invece esprimere un vincolante parere negativo, senza indugi.
Dalle mappe che abbiamo, i soldi stanziati e non spesi per la tramvia che dovrebbe passare affianco di S. Maria del Fiore è meglio perderli che impiegarli, si potrebbero comunque spendere meglio. Appare invece velleitario che il sindaco Domenici affermi di essere intenzionato a farla come se la cosa dipendesse dal comune e non dallo Stato, e non fosse questione che andava risolta ab origine con un semplice diniego della sovrintendenza. La quale ora traccheggia ora autorizza come si vede in alcune situazioni imbarazzanti, per esempio, negli inverosimili lampioni a Vittorio Veneto nella piazza del teatro o nell’arredo urbano intorno alle già mirabili mura di Castelfranco Veneto. Così non ci sarebbe davvero da augurarsi, come alcune indiscrezioni giornalistiche annunciano, che il teatro Lirico di Milano capolavoro dell’architetto Cassi-Ramelli, dove il duce fece il suo ultimo discorso sia trasformato, con nuovi ordini di palchi, in una «Scaletta» (felice definizione schifata della Moratti) neosettecentesca. Gli orrori di architetti ignoranti graditi ad amministratori più ignoranti di loro e autorizzati da sovrintendenti compiacenti, o culturalmente subalterni, dilagano in ogni parte d’Italia con gigantesche spese di «ristrutturazione» o «riqualificazione» invece che pazienti opere di riparazione. Risparmiando su molte di queste spese scellerate sarebbe certamente possibile portare a termine il polo ambulatorio di Pianura, restaurare molti monumenti a Garibaldi nell’imminenza del 150° anniversario dell’unità d’Italia (ma i tempi sono così oscuri che se ne distruggono targhe e lapidi), finire la stazione marittima di Tortolì. E poi terminare o allargare autostrade spesso intasate in snodi nevralgici; compiere indispensabili termovalorizzatori.

Ci vuole una mente che indichi priorità e dia ordine ai lavori pubblici e precise prescrizioni alleimprese dei privati. Di fronte a tanti errori inutilmente compiuti in nome del progresso non vorrei che qualcuno pensi che sia meglio rinunciare. Non tutto è il Pincio.

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