QUI CI VUOLE LO PSICOLOGO

Il flop arbitrale è devastante, e non servono le moviole per portarlo in superficie. Esiste un problema tecnico sull'interpretazione delle regole, ma è ancora più evidente lo stato di confusione mentale che porta molti fischietti, anche collaudati, a firmare errori puerili con una continuità disarmante. Di qui l'intervista a Marisa Muzio, psicologa dello sport, responsabile di Psicosport, per capire come si comporterebbe uno specialista in un settore così allo sbando.
Che idea si è fatta di questa situazione?
«Di un gruppo che non riesce a gestire lo stress e che esprime solo in minima parte il meglio di sé per paura di sbagliare, ma soprattutto mi sono fatta l'idea che non sia una squadra. È come se il bisogno impellente di formare un nuovo gruppo allo scopo di sostituire quello caduto in disgrazia con Calciopoli, sia diventato un peso insopportabile per molti».
E questo cosa ha comportato?
«Una accelerazione di responsabilità. Ne hanno sofferto non solo gli arbitri giovani, impreparati a fronteggiare tanta pressione, ma anche quelli più accreditati che avrebbero dovuto rappresentare lo zoccolo duro del movimento e invece, ai primi errori, sono finiti dentro il tritacarne dei dubbi. Del tipo: ce la farò a rispondere alle attese e fare carriera? Dall'esterno ho avuto l'impressione che molti di loro, non ancora capaci di esprimere una leadership adeguata, abbiano perso la tranquillità interiore».
Cosa cambia allora nella testa degli arbitri?
«Vado per esperienza senza avere l'intenzione di fornire una diagnosi in mancanza di un contatto diretto. Se perdi fiducia in te stesso, hai un deficit a livello cognitivo ed emotivo. Mi spiego: da una parte viene meno l'abilità mentale, quella che serve agli arbitri per capire cosa succede e decidere di conseguenza in un tempo infinitesimo; dall'altra la capacità di ottimizzare il livello di ansia ed essere reattivi in ogni momento».
Quali debbono essere i pregi di un arbitro?
«L'arbitro è fondamentalmente un uomo solo, nel mirino di migliaia e migliaia di occhi, che per tutto il tempo di una partita non deve mai accusare cali di attenzione e concentrazione. All'arbitro sono richieste le stesse qualità di un pilota di F1. Se si distrae o non ha la testa sgombra da pensieri negativi, va fuori pista».
Ma lo stress c'è sempre stato. E così la strumentalizzazione dei loro errori...
«Mi pare però che da qualche tempo, per motivi diversi, ci sia un eccesso di responsabilizzazione. Tende a crescere la cultura dell'alibi per creare un immediato capro espiatorio. Nel senso che se una squadra perde, è sempre o quasi sempre colpa dell'arbitro».
Come dovrebbe comportarsi il designatore?
«Non penso di poter dare suggerimenti a Collina che di questo mondo sa tutto. In linea generale ci vuole un leader autorevole ed efficace, capace di farsi ascoltare e di stimolare il confronto quando serve».
Cosa farebbe Marisa Muzio se fosse chiamata da Collina nel suo staff?
«Innanzi tutto ci entrerei in punta di piedi. Poi darei vita a una serie di focus-group per far capire agli arbitri che non sono soli e permettere loro di confrontarsi sulle problematiche che stanno vivendo dentro e fuori il campo. Quindi non solo tecnica e atletica, ma anche la possibilità di performare l'attività mentale.

Se vogliamo frenare la caduta, dobbiamo per così dire installare una rete di protezione, come al circo, non per evitare che si facciamo male, ma per dare loro la sicurezza di poter cadere e rialzarsi. Dobbiamo renderli impermeabili alle pressioni».

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