Con Quilici un tuffo nelle acque dell’universo uomo

Con Quilici un tuffo nelle acque dell’universo uomo

Viene da dire: «Io sto con la nipote». Di Folco Quilici. Che quando ha chiesto alla bimba: «Voglio titolare il libro così: I miei mari. Che ne pensi?», gli ha risposto subito: «Mica sono solo tuoi, i mari. Sono di tutti». Vero, verissimo. Il fatto è che in quel volume - 482 pagine fitte, un inserto di fotografie evergreen a colori, dvd allegato - c'è la navigazione di chiunque si riconosca nell'avventura della vita, sognata e magari anche vissuta, indifferentemente, in plancia o alla scrivania, persino in campagna o in montagna: ci sono passi, nei vari capitoli, dedicati anche alle pianure e alle quote alte. Quasi a significare che non c'è soluzione di continuità, se si ama davvero e si rispetta la Natura e chi con la Natura ha a che fare da milioni di anni, uomo o animale che sia (e forse è la stessa cosa, basta leggere la chiusa che parla di un incrocio di sguardi fra l'autore e la balena). Quilici la pensa così, da sempre. Ha appena finito di sorvolare le Alpi e farcele scoprire, con una serie di filmati, in una dimensione spettacolare, sì, ma realistica, tutt'altro che elegiaca. E ora si tuffa di nuovo, lui uomo di mare e di alte e misteriose profondità, nelle acque del mondo per raccontarci cosa ha visto e cosa ha ritrovato (e filmato e raccontato sulla pagina scritta), dagli atolli agli iceberg, da Ibn Battuta a Diodoro Siculo, da Stevenson a Salgari, da Calvino a Braudel, ma anche da Siracusa alle Cinque Terre, da Capo Corso al santuario dei Cetacei, davanti alla costa ligure: qui i tanti incontri ordinari che diventano straordinari con capodogli e delfini. Ci sono anche i personaggi, in questi «suoi» mari: la moglie Anna, innanzi tutto, la sola che riesce a dialogare veramente con la «barca» quiliciana, Yavanos, tanto da «mettermela contro quando decido di trasferirla per l'inverno da un porto a un altro». C'è la medaglia d'oro, pioniere della subacquea Luigi Ferraro, «che mi salva dall'annegamento mentre faccio la prova del respiratore Aro». E c'è Marino Maranzana, esperto in immersioni e appassionato come Folco di archeosub, c'è Maurizio Santicola, quello che «se lui non è a bordo, accade di tutto». E c'è Tony Di Natale, direttore scientifico dell'Acquario di Genova, uno che è entrato nella bocca di un cetaceo stremato per liberargli la dentatura dal groviglio di una rete da pesca. E Sant'Antonio: c'è anche lui, indispensabile, la statuetta mutilata di gesso che Quilici ha recuperato nella tonnara di Favignana parecchi anni fa e che ora fa parte integrante dell'arredamento e delle scaramanzie di bordo. Infine, ci sono gli squali, vittime di pregiudizi (sulla loro ferocia) e di ubbìe (la presunta carica sessuale donata dalle pinne) che ne stanno provocando stragi di proporzioni enormi: milioni di esemplari sterminati in un anno, 500mila solo negli ultimi tre mesi. «Squali dell'Oceano e squali di superficie, umani» sibila Piero Ottone, presentando il volume a Sanremo, ospite dei Martedì letterari di Ito Ruscigni.

Squali, quelli di terra, umani, certo, ma forse ancora più pericolosi perché, spiega bene Quilici, «ti attaccano alle spalle, a tradimento, mai di fronte come fanno quelli d'acqua salata». Anche per questo, viene da dire, «I miei mari» sono i nostri mari.
«I miei mari» di Folco Quilici. Editore Mondadori. 482 pagine, 20 euro.

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