La rabbia di Cairo: «Ho criticato gli arbitri, ora mi massacrano»

Intervista al presidente del Torino dopo le polemiche con i fischietti seguite alla sconfitta granata di Firenze: «Va avanti in questo modo da quando ho protestato per il gol di Trezeguet»

Si comincia dalla fine. Dai rigori che hanno impedito al Torino di fare risultato con la Fiorentina. A caldo Urbano Cairo, presidente-tifoso, va giù duro con il Palazzo: «Da quando ho criticato il gol di Trezeguet nel derby, ci hanno massacrato. Se dobbiamo giocare anche contro gli arbitri, la vita si fa durissima». Il giorno dopo fa un passo indietro affermando che gli arbitri non sono in malafede, magari sono scarsi e Collina deve fare l’impossibile per migliorarne il rendimento: «Ma nessuna squadra ha avuto sette rigori contro e solo uno all’attivo. I conti non tornano».
Colpa solo degli arbitri? A Firenze il migliore è stato Sereni...
«Ci mancano i gol, è un dato di fatto. Quelli di Ventola, Rosina e Recoba, fuori causa per malanni vari, e quelli di Di Michele, che deve ritrovare fiducia nei propri mezzi. Ero convinto di aver costruito con Antonelli e Novellino una squadra da metà classifica. Invece la realtà è diversa per gli infortuni in serie di tanti uomini importanti. Nel girone di ritorno dobbiamo badare al sodo e ritrovare quello spirito granata, che s’è visto l’altra sera a Firenze, per risalire la china. Più delle sconfitte ci hanno condizionato i troppi pareggi».
Novellino rischia il posto? È la domanda più gettonata.
«Ai tifosi granata posso assicurare che l’allenatore resta al suo posto. Di lui siamo contenti, con lui abbiamo impostato un progetto e vogliamo andare avanti, non lo abbiamo scelto a caso».
Ma l’altra domenica Novellino se l’è presa con i giocatori dando la sensazione che ci sia una spaccatura fra lui e lo spogliatoio.
«Una impressione sbagliata. Sono stato a lungo con la squadra durante questa settimana e posso garantire che nessuno fa una partita sporca o egoistica. Il feeling è altissimo. E poi Novellino non ha criticato i giocatori. La battuta sulla “mezza sega” era riferito a qualche giocata».
E adesso mette nuovamente mano al portafogli?
«Qualcosa farò, d’accordo con i miei collaboratori. Ci vuole un giocatore che la metta dentro con puntualità. Non mi sono mai tirato indietro. In tre campagne acquisti ho investito quasi 30 milioni: 7 il primo anno, 9 il secondo, 13 qualche mese fa. Oltre agli ingaggi, beninteso. Ad eccezione delle grandi, nessuno ha speso come il Torino. Per non parlare poi dell’impegno sostenuto per prendere una società praticamente azzerata».
Parliamone invece...
«Pronti e via, ci vollero 10 milioni di cash e 15 di fidejussioni. Mi ritrovai senza giocatori e soprattutto senza vivaio in un mondo che non conoscevo. Ma non potevo tirarmi indietro dopo l’invito del sindaco Chiamparino e le attese dei tifosi. Adesso c’è un progetto a media scadenza. L’organico è buono e il settore giovanile in ripresa».
Cosa prova un imprenditore di successo a navigare nelle acque tempestose del calcio?
«È come se fossi in una situazione di start-up perché sono diventato presidente del Torino da neppure due anni e mezzo. So bene di avere molto da imparare anche se al debutto ho avuto la fortuna di festeggiare la promozione in A, un successo che in quelle condizioni valeva uno scudetto. Ma si tratta di mondi diversi. E la variabile è rappresentata dai tifosi. Perché i tifosi ci sono da più tempo di me e considerano giustamente la squadra come propria. Ne devi tenere conto. La situazione mi ha portato, specie nei primi tempi, quando non avevo esperienza, a decidere in fretta su questioni milionarie. Mi sono sorpreso anch’io. Da editore avevo impiegato cinque anni prima di lanciare DiPiù, un settimanale da 800mila copie. Facile parlare di azienda calcio in un ambiente dove convivi con pressioni molto forti».
Ma i conti debbono tornare nel calcio. A meno che lei non voglia fare il mecenate alla Moratti...
«Non ci riuscirei neppure se lo volessi. E comunque i bilanci alla lunga debbono stare in equilibrio, ne va della sopravvivenza di tutto il sistema. Ma non puoi guidare un club se non sei in sintonia con i tifosi, non conquisti la loro fiducia e non vieni rispettato. Ci deve essere simbiosi. Altrimenti corri il rischio di scendere a livelli di guardia molto pericolosi».
Che cominci a pentirsi? A cose fatte si tufferebbe ancora nel calcio?
«L’esperienza è così entusiasmante che mi porta via molto tempo. Il Torino è una passione di famiglia. Ho vissuto giornate bellissime come in occasione del ritorno in A e altre meno belle quando abbiamo corso il pericolo di retrocedere nello scorso campionato.

Non rifarei alcune cose, non dico quali. Ma in certi frangenti era impossibile agire diversamente».
Che voto si dà?
«Per essere alla gavetta, sopra la sufficienza. Quanto a passione credo di essere vicino al massimo».

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