La rabbia di Chivu: «Così paghiamo noi che lavoriamo sodo»

nostro inviato ad Appiano

Ne parla malvolentieri. Ma ne parla. Cristian Chivu, difensore dell’Inter, romeno celebre, anzi doc in tutti i sensi, sa che in questo momento la gente sua sta in testa alla classifica degli ospiti sgraditi. A 18 anni lasciò il paese, vita da zingaro d’oro grazie ai guadagni del pallone. Tutt’altra storia rispetto a quelli pigiati nelle baraccopoli. Vive in Italia da quattro anni, conosce quei ghetti. Allarga le braccia. Non sa come svicolare dall’imbarazzo. «Mi spiace per quello che è accaduto. Lo dico come essere umano, non solo per me come romeno». È dura pensare che dire romeno significhi bestia, assassino, ladro, stupratore. «In questi casi paghiamo noi, noi romeni che lavoriamo, che cerchiamo di comportarci bene. Noi che teniamo alta la bandiera del nostro paese».
C’è stizza, c’è consapevolezza, c’è voglia di cambiar pagina. Chivu parla asciutto, senza lasciar zone d’ombra. «L’Italia deve far qualcosa». C’è un decreto legge, cominceranno le espulsioni. «Mi spiace, ma questa è la vita: che ciascuno faccia ciò che gli compete. Credo che debbano pensarci i governi: quello italiano e quello romeno. Parlino i nostri governanti, anzi facciano qualcosa insieme. Il nostro interesse, dico di noi romeni, ma parlo di tutti, chiede di reagire perché certe cose non accadano più».
Proposta che chiede di essere esaudita.

Chivu parla come un giocatore che non ha solo la testa nel pallone. Prova orrore, lo fa intendere. Prova delusione, lo dice a mezza voce. Prova voglia di riscatto. «Se diamo questa immagine di noi e della Romania, pago anch’io come tutti. E non mi va».

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