"A Raitre c’è una mafia" Parola della Annunziata

L’ex presidente Rai ed ex direttore del Tg3 attacca la rete: "Ci sono rapporti non chiari e privilegi". Lo sfogo dopo l’esclusione del suo programma "In 1/2 ora" dalla brochure sui palinsesti. Nel mirino ci sono i "pupilli" del gran capo Ruffini: Fazio, Floris e Dandini

"A Raitre c’è una mafia" 
Parola della Annunziata

Se lo dice Lucia Annunziata... Con il suo pedigree... Già presidente di garanzia della Rai, ex direttore del Tg3, ex firma di punta del Manifesto, poi corrispondente da New York di Repubblica. Intervistata dal Messaggero, è andata giù piatta: «Su Raitre ci sono cose che proprio non vanno. Piccole mafie, rapporti non chiari, privilegi attribuiti non secondo il merito». Una denuncia in piena regola. Giunta all’indomani della sfuriata alla cena di gala per la presentazione dei palinsesti Rai, dopo aver constatato che del suo In 1/2 ora non c’era traccia nella brochure della Terza rete. La classica goccia che ha fatto tracimare il malumore, fino a quel momento celato in un formale quieto vivere. Una dimenticanza? Un segnale? Una semplice svista? Chissà.

Ieri il direttore di Raitre ha provato a ricucire lo strappo: «Lucia sa benissimo che il suo programma è in palinsesto. Al suo programma voglio bene perché ha dato prestigio alla rete» ha flautato Ruffini. Che, quanto a pedigree aristocratico non scherza nemmeno lui: figlio com’è di un ex politico dc (Attilio Ruffini) e nipote del cardinal Ernesto oltre che di Enrico La Loggia. Basterà questo tentativo di sdrammatizzare a riportare nei ranghi, e in palinsesto, la Annunziata? La quale, toccata sul vivo, ha aperto il file del «corpo estraneo», come si deve sentire nella rete left oriented di Mamma Rai. A leggere l’intervista, quella della conduttrice non sembra una sindrome campata per aria, un film che si fa da sola. Un giornalista fa presto a capire se un editore punta o no sul suo prodotto. Se è figlio o figliastro. In 1/2 ora «da sette anni è sistemato lì senza attenzioni. Come una riserva indiana», ha spiegato la Annunziata. Non appagata nemmeno dal fatto che quest’anno ha firmato anche Potere, «un programma bellissimo e invece gestito come un fondo di magazzino. Orari variabili, nessuna promozione. Potevano metterlo dopo Fazio o la Gabanelli, no?». Ce n’è abbastanza per sentirsi trascurati. E cantarle chiare.

«Piccole mafie, rapporti non chiari, privilegi...». Ma no, «se ha parlato di piccole mafie ha detto una stupidata», ha minimizzato Ruffini. E d’istinto si sarebbe portati a pensare così. Che cioè a Raitre tutti vadano d’amore e d’accordo e che tutto fili in perfetta armonia. Con i big della rete difesi a spada tratta dal direttore. Chi più chi meno, direbbe la Annunziata. Perché questo è il fatto. A Raitre ci sono i cocchi di Ruffini e gli altri. Giovanni Floris, prima di tutti: palermitano e amante degli stessi mercati del direttore che l’ha voluto nella sua rete dopo lo svezzamento a Radio Rai (come pure è accaduto ad Andrea Vianello, titolare di Agorà). E che ieri, in chiusura di stagione - col botto: 22 per cento di share - è stato coperto di elogi anche dal presidente Paolo Garimberti (chissà come sarà contento Santoro...): «Ballarò è vero servizio pubblico».

Ma nella manica di Ruffini ci sono anche gli altri. Il clan di Fandango e dell’Ambra Jovinelli, per esempio. Che si coagulano attorno a Parla con me di Serena Dandini, perfetta padrona di casa per le ospitate di Scalfari e Zagrebelsky. Oppure i famigerati «ceti medi riflessivi» (copyright Edmondo Berselli) che si rispecchiano nello studio di Che tempo che fa di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, nel quale il solito Scalfari presenta volentieri i suoi libri. Perché, su un divano rosso o una poltroncina di pelle, Repubblica è sempre di casa a Raitre, dalla striscia quotidiana di Corrado Augias (Le Storie), alla conquistata centralità di Roberto Saviano.

Ruffini ci ha lavorato con pazienza certosina, e alla fine è riuscito a costruire il palinsesto secondo il Cencelli della sinistra benpensante: uno spicchio al veltronismo, un altro a Liberta e Giustizia, un terzo alla comicità romana radical chic. Una macchina perfetta - ma con qualche corpo estraneo. Una macchina difficile da abbandonare. Ma anche da rinnovare.

Messa a punto dal più longevo dei direttori Rai, nove anni, reintegrato dal giudice del lavoro dopo la causa seguita alla nomina di Antonio Di Bella. Però ora gettonato come possibile nuovo timoniere di La7, la Raitre degli anni Dieci.

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