Ravenna Festival porta l’Amicizia in Marocco

Stasera l’inaugurazione con la New York Philharmonic

Alessandra Iadicicco

da Milano

«Vai!», le disse il Magnifico prima ancora che avesse formulato il desiderio di mettersi in viaggio alla volta dell'Oriente. E come fermarla? Si vedeva a occhio nudo che nella mente aveva già preso il largo. Che già planava su uno specchio di esotiche ceramiche verdi, sollevata da un'onda di musica e accompagnata - perché no - dai rumori di fondo di un mercato in festa. Non è l'inizio di una favola, né una pagina delle Mille e una notte, né il racconto di un sogno. O invece sì? Comunque sia, la scena è andata in replica ieri a Milano nella sede Telecom di piazza degli Affari.
Personaggi e interpreti. Lei: Cristina Mazzavillani Muti, presidente e direttrice, signora e patrona del Ravenna Festival che quest'anno - a luglio, il 17 - porterà fino in Marocco la carovana spettacolare della sua manifestazione. E a Meknès - antica città imperiale -, sulla piazza Lahim - preziosamente piastrellata di verde -, pianterà le sue tende per accogliere l'Orchestra del Maggio musicale fiorentino e allestire un programma tutto verdiano (con brani da La forza del destino, Don Carlo e Quattro pezzi sacri): sedotta dai colori e dai rumori di fiera in cui la trovò avvolta il giorno che la vide per la prima volta. «C'erano olio, grano, spezie e dolcezze variopinte esposte tra i banchi di un mercato dell'agricoltura il giorno che vi incontrai l'ambasciatore marocchino Tajeddim Baddou», racconta Cristina, descrivendo l'immagine di un vivace centro mediterraneo.
E lui - «solo Marco il Magnifico per me», precisa la signora - è Marco Tronchetti Provera: del festival ravennate il protettore, nonché, come presidente onorario del Progetto Italia di Telecom, munifico finanziatore.
Ma sulla munificenza imposta dai costi della realizzazione di un sogno, la magnificenza - da Mille e una notte - prende il sopravvento. Anzi: «Il fatto umano ha il sopravvento», interviene Riccardo Muti, inserendosi in un dialogo che non si recita solo come un gioco delle parti. Marocco? Marocco! Sarà la meta della «Via dell'amicizia» tracciata a orientare la rassegna che si inaugura oggi - con il concerto della New York Philharmonic diretta da Lorin Maazel - all'insegna del titolo «Mozart? Mozart!».
È la decima tappa di un percorso avviato nel 1997 con il primo, storico ponte della fratellanza lanciato sulla città di Sarajevo distrutta dalla guerra. Fu un'avventura memorabile, con la marcia notturna dell'orchestra piantata per errore tra le macerie a un chilometro dall'aeroporto e condotta a piedi dal suo direttore verso la stazione di partenza. L’inizio di un’esperienza che condusse poi Maestro e orchestrali ad altri teatri di guerra trasformati, per incanto, in teatri di musica: Beirut, Gerusalemme. Poi fu la volta di Mosca e di Istanbul: alla volta di un Oriente verso il quale Ravenna sente da sempre, per vocazione storica, il richiamo. Nel 2001 invece l'appello arrivò da New York: e tanto più vibrante, ancorché sommessa, fu la risposta intonata da Maestro e coro sulle note del Va' pensiero a Ground zero. Se il confronto - l’incontro, lo scontro - fra le culture e le civiltà doveva segnare la geopolitica degli anni successivi, solo la musica poteva offrire un catalizzatore per portarle armoniosamente a conciliarsi. Fulcro di convergenza e punto di incontro per i più recenti viaggi musicali di solidarietà sono stati pertanto Il Cairo, Damasco, El Djem: capitali emblematiche, centri del mondo islamico, scrigni secolari di cultura, crocevia di millenarie civiltà. È questa anche la valenza simbolica della città di Meknès: sito di remota tradizione imperiale (fu edificata nel Seicento dal Sultano Moulay Ismail) ed emblema, oggi, di un Marocco che è «l'Oriente per gli occidentali e l'Occidente per gli orientali», dice Riccardo Muti ricordando le parole di Re Maometto IV.
Dal sovrano, a luglio, Maestro e signora saranno molto probabilmente ricevuti, annuncia l'ambasciatore Baddou: a suggello di un avvicinamento favorito dalla musica e celebrato in concerto dalla partecipazione «a sorpresa» di strumentisti locali. «Ovunque ci abbiano portato questi viaggi - racconta Muti - abbiamo sempre invitato i musicisti del posto a unirsi al coro e all'orchestra. Informati del programma, preparati sullo stesso repertorio, entrano in scena all'ultimo momento per prendere parte allo spettacolo. E un conto è unirsi agli orchestrali del Bolscioj, un altro è suonare con quelli di Menkès.

Ma quanto più lontana dalla nostra è la storia musicale di un paese, tanto maggiore è l'evidenza con cui la musica, senza parole, meglio di qualsiasi discorso si dimostra capace di avvicinare e unire come tenacissimo collant».

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