Volendo trovare un termine specifico che potesse incarnare lo spirito delle crime novels di Scozia, lo statunitense James Ellroy ha coniato «tartan noir», facendo riferimento al tessuto usato per il kilt, da secoli segno distintivo della gente delle Highalands. Robuste come quell'indumento sono le trame che da tempo costruisce lo scrittore Ian Rankin che con Una canzone per tempi bui (Rizzoli) arriva a firmare il ventitreesimo libro dedicato al suo John Rebus. Il quale, anche se ora è in pensione dopo anni di militanza in polizia, non ha smesso di occuparsi di casi complicati.
All'inizio della storia lo vediamo alle prese con un trasloco della collega Siobhan Clarke mentre valuta scatoloni pieni di libri, dischi e fascicoli di inchieste di cui si sono occupati. Nessuno dei due ha avuto una vita sentimentale tranquilla, né una vita lavorativa rilassata. E nelle storie che li hanno visti insieme Rankin ha saputo descrivere in maniera originale la Edimburgo in cui operano: una città in equilibrio fra il suo nobile passato e la decadenza postindustriale. Un luogo dalla complessa identità che appare allo stesso tempo elegante e cadente, dove la depressione e la disoccupazione hanno prodotto fasce impressionanti di criminalità. Lo scrittore scozzese ha spesso sottolineato il suo legame indissolubile con la sua città e quello stilistico ed emozionale con Robert Louis Stevenson. E nella sua ricerca di un modo originale per raccontare le storie ha spesso fatto riferimento al modo di svilupparle delle murder ballads musicali. Così le canzoni di Joy Division e dei Cure che ha usato in alcuni dei suoi titoli sono divenute numi tutelari dei suoi noir. Non è quindi casuale che anche questo romanzo si chiuda con una frase apposta nei ringraziamenti che recita: «alla salute di tutte le canzoni e chi le canta, nel tempi oscuri e in quelli luminosi». L'identità punk rock e dark si sente nelle storie di impianto civile e sociale di John Rebus che questa volta deve aiutare sua figlia Samantha a rintracciare suo marito Keith, scomparso nel nulla. Scoprirà che l'uomo era da tempo ossessionato da un progetto di storia locale che lo aveva portato a indagare su un campo di internamento inglese attivo durante la seconda guerra mondiale. Parallelamente a lui, Siobhan Clarke e Malcolm Fox, devono occuparsi di un'altra indagine delicata, legata all'accoltellamento dello studente saudita Salman bin Mahmoud, figlio di un uomo d'affari, affascinante playboy con l'ossessione per lo 007 di Sean Connery e le sue velocissime Aston Martin.
Il caso sembrerebbe legato a un'ondata di attacchi agli stranieri avvenuti sulla scia della Brexit, ma forse c'è qualcosa d'altro da scoprire. Nel romanzo i riferimenti alla situazione politica contemporanea sono evidenti e Ian Rankin evidenzia il crescere dell'avidità, della stupidità e del razzismo che stanno sgretolando la società in cui si muovono i suoi personaggi, così come hanno inquinato i luoghi in cui vivono. Le violazioni della privacy e la distruttività dei pettegolezzi risultano letali in piccoli paesi di provincia come l'immaginario Naver in cui si svolge buona parte della vicenda.
All'ex ispettore John Rebus questo mondo pare marcio e privo di possibilità di riscatto. L'abilità di Rankin è nel costruire la storia come in un puzzle, in cui all'inizio i pezzi sembrano fuori posto ma alla fine si incastrano in maniera perfetta.
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