Il regolamento non basta: ora bisogna dare

«Ma quando è rigore?». La domanda si fa strada nei blog dei tifosi, non solo quelli milanisti, che non ci capiscono più nulla sui falli di mano. Curioso che al centro di questo dilemma sia l’arbitro più anziano ed esperto del gruppo, il 46enne Stefano Farina con quasi 230 presenze in Serie A, ancora in attività grazie a una proroga. Di lui Kaladze ha detto che non conosce il regolamento salvo fare un passo indietro per evitare una lunga squalifica. In discussione il rigore negato al Milan su mani di Pratali e quello concesso al Torino dopo un intervento analogo di Kaladze. In apparenza gli episodi appaiono simili, tiri da breve distanza, braccia distanti dal corpo, in realtà non è così: nel primo caso il pallone finisce direttamente sul braccio del giocatore granata, nel secondo tocca il braccio del georgiano dopo aver sbattuto sulla sua coscia.
Un particolare fondamentale. Ma l’arbitro, che sul campo non ha il replay a disposizione, non se n’è accorto: di qui il rigore assegnato al Toro. Allora dobbiamo chiederci perché Farina non ha usato lo stesso metro di giudizio nelle due azioni. «Il problema è l'istintività dell'arbitro che viene sempre a galla e non potrà mai essere paragonata a nessuna moviola», la risposta a distanza di Cesare Gussoni, presidente dell’Aia. Può essere, anzi senz’altro è così. Ma il popolo del calcio è disorientato dalle scelte dei fischietti che più in antitesi fra loro non potrebbero essere. Basta dare un’occhiata ai sei casi che prendiamo in esame. All’inizio dell’anno, dopo un rigore accordato all’Inter contro il Parma, Collina pensò di aver chiarito la faccenda con una raccomandazione che non compare nel regolamento, ma che finora ha fatto da spartiacque: «Non assegnate il rigore quando il pallone, prima di finire su mano o braccio, rimbalza su un’altra parte del corpo». In quell’occasione Couto salvò la propria porta deviando in angolo un tiro di Ibrahimovic: a velocità reale non si capì se di testa o di mano. La moviola mostrò che il pallone, dopo essere stato deviato con la fronte, finì sulla mano. «In questi casi – suggerì il designatore alla sua truppa – non c’è volontarietà». Ma la considerazione vale quando un giocatore, aprendo le braccia, aumenta il fronte dell’opposizione al pallone e quindi si procura un vantaggio? È il caso di Kaladze, tanto per fare l’esempio più vicino nel tempo. Per lo stesso motivo sarebbe il caso di invitare gli arbitri a punire con il rigore gli interventi di tutti i giocatori che toccano il pallone con le braccia ben staccate dal busto. Quanto meno la gente capirebbe. E i giocatori riprenderebbero l’usanza di tenere le braccia dietro la schiena.


Sui falli di mano il regolamento lascia ampio margine d’interpretazione agli arbitri che dovrebbero intervenire solo per punire la volontarietà: occhio quindi alla distanza, che non può essere ravvicinata, e al braccio o alla mano, che debbono andare verso il pallone, non viceversa. Ma il giocatore che si contrappone all’avversario con le braccia larghe, si mette dalla parte del torto. A prescindere. Del genere: diamo una mano agli arbitri. Il problema è: come?

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