Renzi è ancora tentato di far fuori Gentiloni

Il sospetto: governo ko prima della manovra. Intanto Pisapia incontra Prodi e Orlando

Renzi è ancora tentato di far fuori Gentiloni

Come Michelangelo davanti al suo Mosè sbottò: «Perché non parli?», davanti alle ultime turbinose logorree di Matteo Renzi occorre chiedersi: «Ma perché parla?».

Certo, il libro. Avanti: un lancio del genere precipita le vendite nel burrone, più che in vetta. Dunque nei Palazzi della politica riprende a serpeggiare inquietudine sull'eterno ritorno dell'Uguale. Matteo sempre troppo simile a se stesso: stessi toni, stesse bugie e promesse di manica larga. Fanfarone e approssimativo persino nelle citazioni, vedi quell'«amor» latino buttato lì come «amore» da Mentana. Lingua un-tanto-il-chilo. E poi gran voglia di far terra bruciata di ogni contendente e forse addirittura di gettare al macero, prima o poi, quel derelitto Pd per una rivoluzione alla Macròn, un «tutto cambia purché nulla cambi». In questa prospettiva va letto anche l'affidamento della prossima campagna elettorale a Proforma, compagnia agile e aggressiva, capace di guizzi geniali (si ricordi il «Miett'a Cassàno» che accompagno la trionfale elezione di Emiliano a sindaco di Bari). Ieri era così ancora un Renzi a 360 gradi: dalle Olimpiadi perdute al nuovo cavallo di battaglia dei migranti; dal terremoto al ciclismo, al fisco: «Tasse giù per chi assume e investe, e meno burocrazia che se no ci ammazza tutti». Infine, mi-voglio-rovinare, misure per «chi ha figli, magari l'assegno universale per i figli o il quoziente familiare». Gli alfaniani sono i più preoccupati del carosello renziano, che colpisce soprattutto il (quasi) coetaneo Letta jr. «Forse vuol far saltare tutto», ragiona Sergio Pizzolante, brillante luogotenente dell'area Cicchitto (anch'egli dell'idea che il leader pd stia cercando «l'incidente» per mandare Gentiloni a casa). Dunque un piano perfetto, quello del segretario Pd, per sbrogliare la matassa e impedire che la manovra autunnale venga intestata al Pd, con letali conseguenze sul voto.

Il quadro è in movimento, ma anche all'esterno del Nazareno. Pisapia continua il suo giro paziente per l'Italia a raccattare cocci di sinistra. Monacale si direbbe, visto che ieri ha chiarito di «non ambire ad alcun incarico istituzionale, tant'è vero che non penso neanche lontanamente a candidarmi alle prossime elezioni». L'altra sera ha incontrato a Bologna Romano Prodi, ormai sempre più regista di una strategia più ampia che mira a neutralizzare (e magari isolare) Renzi con le sue mattane. All'incontro ha partecipato anche Andrea Orlando che qualcuno vede come prossimo partente dal partito renzizzato. Ma chi gli è più vicino sa che tutto dipenderà dal modo nel quale Matteo consentirà al governo di chiudere la legislatura. E, particolare assai rilevante, di quanto peso concederà agli orlandiani nelle liste elettorali. Soltanto di fronte a numeri considerati «oltraggiosi», Orlando, Cuperlo e gli ultimi dei mohicani salteranno il fosso per unirsi agli (ex) compagni bersaniani.

Il cui leader è tra i più caustici giudici delle balle spacciate in questi giorni da Matteo, come quella che la cacciata di Letta da Palazzo Chigi «fu chiesta dalla minoranza, da Speranza». «Ma c'è ancora qualcuno in giro che può credergli, a quest'uomo qui?», lo irride Bersani.

Che si dice piuttosto deluso dal prosieguo del cammino di Gentiloni: «Al netto dello stile, ha seguito pedissequamente la linea del predecessore». Dopo il boccone amaro delle banche, aggiunge il Capo di Mdp, «se pensano a una manovra d'autunno di sgravi e bonus senza investimenti, occhio che casca l'asino». Probabilmente saranno più d'uno.

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