Il retroscena Così è finito l’incubo della Cia pasticciona

Langley, sobborghi di Washington, domenica sera: in un bunker nel bel mezzo del quartiere generale della Cia il numero uno Leon Panetta e i suoi uomini seguono in diretta sullo schermo il blitz americano in Pakistan. Quando, dalle confuse immagini delle telecamere degli incursori di Marina, è chiaro che l’operazione è riuscita e Bin Laden è morto, nella sala scoppia un applauso fragoroso. Per Panetta, figlio di un paisà calabrese, e per la Cia tutta, è la fine di un incubo. Per 13 anni gli hanno dato la caccia. E per 13 anni hanno regolarmente mancato il bersaglio.
La storia ha un inizio: il febbraio del 1998, quando l’allora direttore dell’agenzia Tenet cancella la prima missione destinata ad uccidere lo sceicco del terrore perché «troppo rischiosa». Da allora gli agenti segreti hanno dovuto mangiare polvere e sopportare l’ironia di nemici e alleati. Come quella del leggendario comandante afghano Massoud, il leone del Panshir, nemico storico dei talebani. Alla fine del 1999 dice di essere in grado di uccidere Bin Laden e assestare un duro colpo ai fondamentalisti islamici. La squadra di agenti Cia che operano nella zona è d’accordo, le chances sembrano buone, ma da Washington arriva di nuovo lo stop. «Voi americani siete pazzi. E non cambiate mai», commenta sarcastico Massoud, che finirà ucciso dagli uomini di Al Qaida alla vigilia dell’11 settembre.
Da lì in poi per la Cia è un continuo precipitare: le Torri gemelle, il coinvolgimento nella vicenda delle inesistenti armi di distruzione di massa in Irak, perfino una specie di Tangentopoli scoppiata nel 2007, quando si scopre che il numero tre dell’agenzia affidava contratti a un amico in cambio di soldi e regali. Tanto vale scioglierla, è la battuta che circola tra gli stessi dirigenti dell’organizzazione. Tornano a galla i vecchi mali: troppa fiducia nella tecnologia, troppa enfasi sulla quantità di dati raccolti piuttosto che sulla loro qualità. Tra i quasi ventimila dipendenti abbondano i manager da ufficio, perfetti per muoversi nei corridoi di Washington, scarseggiano le spie. La situazione è quella descritta da Bob Gates, ministro della difesa uscente ed ex direttore della Cia: «Non siamo in grado di mandare un americano di origine asiatica in Corea del Nord senza che si capisca immediatamente che arriva dal Kansas. Una volta volevo assumere un agente, un cittadino americano cresciuto in Azerbaigian. Parlava azero benissimo, ma non scriveva in perfetto inglese. E così l’hanno scartato. Io sono diventato una furia e mi sono messo a urlare: ho migliaia di persone che scrivono perfettamente inglese, non uno che parla azero. Che cosa vogliamo fare?»
Un po’ alla volta la risalita inizia: la Cia avvia una campagna di reclutamento di agenti in grado di muoversi a loro agio (anche linguisticamente) nelle aree calde del pianeta. La collaborazione con i corpi speciali dell’esercito si fa più stretta e i confini tra le diverse entità che si occupano di sicurezza si fanno più sottili. È un processo che secondo alcuni commentatori è culminato nei giorni scorsi con l’annuncio di Obama su un girotondo ai vertici: dall’estate capo della Cia diventerà il generale David Petraeus, eroe dell’Irak e dell’Afghanistan, al Pentagono andrà lo stesso Panetta. Restano le difficoltà che si potrebbero definire «culturali»: quelle legate al fatto di operare in un contesto istituzionale ispirato alla più assoluta trasparenza. Nonostante le percezioni italiane legate agli anni Settanta (la Cia come mostro onnisciente e onnipotente) e ad alcune leggi dell’era Bush, il problema è dall’altra parte dell’Atlantico molto sentito. «Il segreto e l’inganno non sono mai stati il nostro forte», ha scritto Tim Wiener, storico dell’agenzia. Una spia «deve saper usare l’imbroglio e la manipolazione, in una parola la disonestà, nel perseguire i suoi obiettivi», ha scritto Jeffrey Smith, responsabile degli affari legali dell’agenzia negli anni Novanta. «La difficoltà è trovare il raro individuo che abbia il talento dell’imbroglio e che sia allo stesso tempo in grado di mantenere un equilibrio morale». Per trovare i sintomi di questa contraddizione basta andare sul sito dell’agenzia.

L’ultimo comunicato è quello sulla morte di Osama, gli altri parlano delle politiche sulla diversità di genere, dell’impegno ambientale della Cia, dei premi concessi agli agenti che hanno usato lingue difficili come il dari, l’arabo o il russo per portare a termine le loro missioni.

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