La rivoluzione di Barbie femminista di plastica

Dal tacco 12 alla Birkenstock, la storia dell'uomo - pardon, della donna e di Barbie come icona - è un cammino verso l'emancipazione, parola priva di colorazione positiva o negativa

La rivoluzione di Barbie femminista di plastica
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Dal tacco 12 alla Birkenstock, la storia dell'uomo - pardon, della donna e di Barbie come icona - è un cammino verso l'emancipazione, parola priva di colorazione positiva o negativa. E quello che arriva al cinema è un film dalle chiare inclinazioni femministoidi dove le femminucce sono una versione differente delle varie Barbie e i maschietti autentici idioti allo sbaraglio. Concetto che diventa ancora più inquietante nella prima sequenza, citazione di un cult capolavoro del cinema come 2001: odissea nello spazio, in cui il misterioso monolito è rimpiazzato dalla celebre bambola e una bambina poco scimmiesca ma molto incattivita rompe tutti gli esemplari che hanno preceduto la Barbie dai tacchi vertiginosi.

A quel punto film e sceneggiatura precipitano di tono e al netto degli interminabili «Ciao, Barbie» da pubblicità scema conditi da Ryan Gosling che sembra la pietosa controfigura del mitico Seb di La la land, riprende tono solo verso la conclusione in crescendo con concetti accettabili. L'universo dei giochi, un po' come la vita vera, è popolato dai mille volti di una Barbie che è veramente una nessuna e centomila ma, a differenza di tanti modelli del passato - diciamo un Cicciobello qualsiasi -, si affranca e sconfigge la società patriarcale di Ken che non ha perso tempo nello sfruttare le debolezze del gentil sesso.

Anche il biondo e aitante imbecille però è la fotocopia di se stesso, clonato in molteplici copie, ma se Barbie è l'esempio di una evoluzione Ken diventa il paradigma del regresso, al punto che lo sbarco della biondina nella vita reale non avviene più sul tacco dodici ma su più comode anche se forse meno seducenti Birkenstock.

Insomma la Barbie nata nel lockdown, evento cinematografico di un'estate ricca di ritorni - da Indiana Jones a Mission impossible - risulta molto meno banale e stupida di quanto si possa immaginare. Ciò non vuol dire che il film sia bello. Ha pretese marcate e i pregi di una regista obiettivamente brava ma sa troppo di plastica e marshmallow.

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