La Robin tax divide Draghi e Tremonti

da Roma

Una volta tanto, all’assemblea dell’Abi di ieri, gli elementi che uniscono Giulio Tremonti e Mario Draghi sono maggiori di quelli che li dividono. Ma bisogna farli decantare dalla «nebbia» della Robin Hood Tax. Per il governatore la minore deducibilità fiscale prevista comporterà un aumento dei costi del sistema bancario «di quasi 10 punti base»: l’1%. Per il ministro è importante non traslare questi aumenti sulla clientela. «Una vecchia dottrina preferiva tassare gli operai, gli unici che non possono traslare i costi su altri».
Che Tremonti abbia apprezzato «molto, molto» le parole di Draghi lo dice in apertura di intervento. E non poteva essere altrimenti. Con toni diversi (asettico, quello del governatore; ricco di citazioni quello del ministro: dalla Genesi, a Benedetto XV, ai Promessi Sposi) entrambi mandano un segnale forte al sistema bancario. E nella stessa direzione. L’economia italiana - dice il numero uno di Banca d’Italia di fronte alla «confindustria» delle banche - è in una fase di stagnazione, amplificata dall’inflazione. Il sistema finanziario non si è ancora ristabilito dalla crisi. Le banche hanno difficoltà a raccogliere capitali. E «l’inaridirsi di canali di approvvigionamento induce le banche a collocare nuove emissioni prevalentemente presso la clientela al dettaglio». Queste emissioni, però, «devono essere offerte solo a clientela selezionata». In altre parole, Draghi lancia un vero e proprio avvertimento alle banche: non offrite alla clientela prodotti finanziari «a rischio». Perché - ma questo non lo dice - gli scandali Parmalat e Cirio (per non parlare delle obbligazioni argentine) sono nati proprio da qui.
Forse queste parole del governatore sono alla base del primo «molto» con cui Tremonti ha apprezzato Draghi. Ben diverso era stato il comportamento del precedente inquilino di Palazzo Koch nei confronti delle banche e dei bond. Tant’è che il ministro si dice sicuro che «le banche italiane non metteranno sul mercato strumenti di raccolta speculativa». E sottolinea che «la funzione fondamentale di un governo è la tenuta della struttura del Bilancio dello Stato. E dentro la struttura del Bilancio, c’è il risparmio delle famiglie».
Ed a proposito di bilancio, Tremonti ricorda: «Si può dividere tutto, tranne le bugie». E cita come caso di scuola il deficit che dall’1,9% del 2007 «quest’anno passa al 2,5 ed oltre. Non c’è il rallentamento previsto, ma un’inversione di tendenza». E per spiegare la filosofia che sta dietro la manovra, il ministro dice che il governo vuole ispirarsi «ad un’economia sociale di mercato». E che i provvedimenti presentati in parlamento «recepiscono l’Agenda di Lisbona».
Un capitolo importante dell’intervento del ministro riguarda poi i mutui e la loro rinegoziabilità, decisa insieme all’Abi. «L’etimologia del termine ministro sta a significare “colui che amministra”. E io stesso mi presenterò agli sportelli bancari ad accompagnare le famiglie che vogliono rinegoziare i propri mutui». E ricorda come già nel 2006 la Casa delle Libertà mise nel programma la «portabilità» dei mutui. «Ma quell’idea venne uccisa da chi vinse all’epoca le elezioni». Ora, pero, è tornata a galla. Nell’interesse di tutti: sembra dire Draghi. Che invita le banche a «guardare lontano. E’ evidente che difendere una nicchia, una clientela prigioniera, non è più una strategia vincente; non è più neppure un efficace strumento di difesa». Parole, forse alla base del secondo «molto» con cui Tremonti ha apprezzato l’intervento del governatore. Il ministro, poi, torna sulla speculazione che ha un «ruolo non marginale» sulle quotazioni del petrolio.

«Batte l’ora del giudizio sulla cultura globalista e mercatista». E ricorda che se la «tecnocrazia ha avuto una reazione negativa» alla sua proposta di aumentare i depositi per gli operatori che scommettono sui futures, al Congresso Usa giacciono due proposte di legge identiche.

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