Roma, il rabbino va in moschea: «Vogliamo isolare i fanatici»

Di Segni, capo della comunità ebraica romana, visiterà lunedì il centro islamico più grande d’Europa. É la prima volta

Ariela Piattelli

da Roma

Per la prima volta nella storia la moschea più grande d’Europa apre le porte ad un rabbino capo: lunedì Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, si recherà in visita ufficiale alla moschea di Monte Antenne. Un evento che simboleggia l’inizio di un dialogo tra l'ebraismo italiano e la comunità islamica. Riccardo Di Segni anticipa che lunedì ricambierà l’invito al direttore per l’Italia della Lega musulmana mondiale Mario Scialoja ed al segretario generale del Centro islamico Abdellah Redouane».
Rabbino Di Segni, perché questa visita?
«Vogliamo dare un segnale concreto di possibilità di incontro tra religioni differenti che vogliono lavorare insieme nel rispetto reciproco, nello stesso tempo vogliamo isolare ogni possibilità di pulsione fanatica».
Perché proprio adesso? Lei ha mostrato solidarietà al mondo islamico sulla vicenda delle vignette. Questa visita ha a che fare con quella questione?
«Da parte nostra no, non c’è nessuna connessione. In realtà le condizioni necessarie per la visita di lunedì si sono create solamente adesso, dopo un lavoro che va avanti da tempo. Ora, finalmente, la situazione si è sbloccata».
Che rapporto c’è tra l’ebraismo romano e l’Islam?
«Noi rappresentiamo uno strano caso nella storia: siamo la più antica comunità ebraica nel mondo cristiano e come tale non abbiamo avuto rapporti diretti con l’Islam. Gli ebrei della nostra comunità che sono venuti a Roma dalla Libia nel ’67 hanno invece avuto rapporti con l’Islam. Quindi nella nostra comunità coesistono queste due diverse anime».
Quale sarà la prima cosa che dirà una volta entrato nella moschea?
«La prima cosa che dirò è che secondo il racconto biblico gli ebrei ed i musulmani sono fratelli e, malgrado tutte le differenze e le storie tormentate, si tratta di un rapporto speciale in quanto rapporto tra fratelli. Ricordiamoci che anche la fratellanza può essere controversa».
In cosa consiste il contributo che l’ebraismo può dare alla comunità islamica?
«Noi, con la nostra esperienza di integrazione che dura da più di venti secoli, possiamo dare un aiuto significativo a chi deve affrontare il problema dell’integrazione oggi. La consulta islamica sta discutendo proprio di queste questioni e l’ebraismo romano, che ha affrontato il tema dell’integrazione nel corso dei secoli, ha la propria esperienza da offrire».
Quali sono i problemi dell’integrazione?
«Il problema è quello di mantenere l’identità in un mondo che può essere ostile in questo senso: mantenere l’identità significa avere delle scuole, l’educazione religiosa, la possibilità di trasmissione della cultura specifica ed il rispetto delle leggi specifiche, come le regole alimentari, le festività, la preghiera. Sono problemi che noi abbiamo affrontato da molto tempo e che per quanto ci riguarda sono stati regolati da un'intesa con lo Stato italiano».
Immagina che la visita di lunedì possa far rumore anche in altre parti del mondo?
«Ho già detto che non dobbiamo “montarci la testa”.

La mia visita sarà un evento locale, ma siccome viviamo in una sorta di villaggio globale, ci ritroveremo in un incontro di pace che potrebbe forse avere effetti benefici in altre parti del mondo, in questo senso c’è anche un significato universale della visita. Vado a fare un gesto di apertura che spero sia colto nel suo significato e mi auguro che ognuno faccia la sua parte».

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