da Parigi
Ségolène Royal, candidata ufficiale del Partito socialista alle elezioni presidenziali della prossima primavera, ha rafforzato la sua fama di «gaffeuse» con una dichiarazione perlomeno inopportuna e azzardata a proposito del Quebec e della sua ipotetica indipendenza dal Canada.
Incontrando a Parigi il leader separatista André Boisclair, del Parti Québécois, Ségolène Royal ha detto di condividere gli ideali del suo interlocutore, ossia «la sovranità e la libertà del Québec». In Francia come in Canada, il pensiero di tutti gli osservatori è andato alla celeberrima frase «Viva il Québec libero!», pronunciata da De Gaulle nel 1967, quand'era presidente della Repubblica. Quelle parole scatenarono un autentico putiferio nelle relazioni tra il governo di Ottawa e la Francia, che - per bocca della sua massima autorità costituita - aveva appunto auspicato la secessione dal Canada della provincia francofona. Stavolta, invece di una bufera, c'è una tempesta in un bicchier d'acqua. Tutti - o quasi - sorridono della gaffe di madame Royal, che è una semplice candidata all'Eliseo.
Uno dei pochi a non sorridere è il primo ministro canadese Stephen Harper, secondo il quale «la storia dimostra quanto sia inopportuno che un dirigente straniero intervenga nelle procedure democratiche di un altro Paese». Stephen Harper vede nel comportamento di Ségolène Royal un'evidente ingerenza negli affari interni canadesi. Come dire che il governo di Ottawa dà una bella bacchettata sulle dita di madame Royal, impartendo a quest'ultima una lezione di stile in piena regola.
In Francia il centrodestra, ringalluzzito per i sondaggi che vedono Nicolas Sarkozy come favorito nella corsa all'Eliseo, evita di drammatizzare le imprudenti dichiarazioni della candidata socialista. Secondo Christian Estrosi, ministro del Territorio e amicissimo di Sarkozy, ci troviamo di fronte all'ennesima dimostrazione della «propensione gaffistica» di Ségolène Royal, che - sempre a suo avviso - dovrebbe riflettere sulle conseguenze delle dichiarazioni rilasciate per far piacere agli interlocutori del momento.
In Francia la politica estera è considerata come la «riserva di caccia» del presidente della Repubblica, la cui autorità in materia prevale anche sulla volontà del governo. Dunque le (non certo disinteressate) malelingue si chiedono che cosa accadrebbe della politica estera francese se entrasse all'Eliseo proprio Ségolène Royal, che nel suo viaggio in Medio Oriente non ha reagito alle durissime dichiarazioni anti-israeliane di un esponente Hezbollah, che - partendo per Pechino - ha criticato la condanna a morte di Saddam Hussein senza affrontare il problema delle migliaia di esecuzioni capitali cinesi e che adesso vuole liberare il Québec dal presunto «dominio» canadese.
Il solo a difendere Ségolène è stato - come al solito - il suo compagno di vita e di politica: il segretario generale del Partito socialista François Hollande, secondo cui le dichiarazioni della candidata hanno pienamente rispettato il principio dell'attenzione di Parigi al Québec, senza ingerenze nella politica canadese.
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