La Russa abbatte i muri della sinistra

Fidanza: "A 35 anni da Berlino, Europa vittima di un'autoproclamata burocrazia"

La Russa abbatte i muri della sinistra
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Il sospetto è che dopo qualche decennio dalla caduta del Muro di Berlino, a opprimere la libertà siano oggi i forse ancora più pesanti mattoni del pensiero che con sempre maggiore violenza pretende di essere unico. Almeno a sentire alcuni spunti dei tanti relatori che si sono alternati ieri sul palco del Teatro Filodrammatici all'evento «Libertà! L'Europa a 35 anni dal crollo del Muro», organizzato da capodelegazione di Fratelli d'Italia all'europarlamento carlo Fidanza per il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei.

«Da sempre simbolo di oppressione e divisione, la sua caduta segna il fallimento del comunismo e la fine della Guerra Fredda», aveva già scritto di buon mattino il presidente del Senato Ignazio La Russa sul suo profilo Fb prima di arrivare alla manifestazione di Milano. «Ricordiamo la data del 9 novembre 1989 con commozione e orgoglio, impegnandoci tutti per un futuro senza più dittature e in cui libertà e democrazia prevalgano sulla morte e sugli errori e gli orrori del passato».

Molto atteso, dunque, il suo arrivo a «una tradizione che si ripete ormai da 25 anni», ha ricorda dal palco Fidanza, davanti a una platea gremita soprattutto di giovani che attendeva il tradizionale abbattimento del muro di cartone costruito sul palco e dipinto con tutte le battaglie della destra. «L'Europa - ha sottolineato Fidenza - a 35 anni da quel crollo, si presenta debole e indifesa: una burocrazia che si è autoproclamata illuminata si è sostituita ai cittadini». E per questo, ha aggiunto, «oggi vogliamo dedicare questa giornata a chi non ha mai smesso di combattere per un'Europa libera dal comunismo, a chi cerca di costruire un'Europa unita anche nelle disuguaglianze». Condannando il fatto che «la macchina di una certa sinistra ha sempre impedito che questa giornata venga ricordata, anche nelle scuole».

Dopo gli interventi istituzionali degli europarlamentari Mario Mantovani che ha promesso battaglia «per la difesa della famiglia tradizionale» e Lara Magoni che ha ricordato «la mostruosità di chi costringeva le atlete dell'Est a diventare uomini per vincere le gare», particolarmente applaudita la relazione del professor Stefano Zecchi che con il suo visionario piglio da filosofo, in pochi minuti e partendo dallo Spengler del Tramonto dell'Occidente e dal Goethe del Faust, ha disegnato una mappa della Rivoluzione conservatrice che non deve ripetere ciò che era rivoluzionario per i progressisti tempo fa, ma realizzare i propri valori radicati nella tradizione e pronti per il futuro.

Inevitabilmente pirotecnica e applauditissima la pregevole invettiva di Giuseppe Cruciani contro le mordacchie del potere alle idee oggi considerate «non inclusive», il vero randello con cui oggi si bastonano gli avversari (diciamolo pure) della sinistra. Scenografica e a tratti commovente la ricostruzione teatrale, ma storicamente interessantissima delle ore della caduta messe in scena da Gianluigi Paragone.

In attesa dell'abbattimento del muro La Russa ha il tempo di abbatterne qualcun altro che ingombra la libera circolazione delle idee. «Schlein riferendosi a Meloni parla di olio di ricino? Ma di che vogliamo parlare... Non ne vale la pena.

Meloni che dice che non ha diritti sindacali era una frase scherzosa, una battuta sul fatto che una è costretta a lavorare anche quando sono malata. Il giorno dopo ci hanno costruito le prime pagine dei giornali... Una battuta è diventata un fatto: ha attaccato i diritti. Che mondo».

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