Morbo di Parkinson, scoperte le molecole che possono frenarlo

Lo studio, pubblicato sulla rivista 'Nature Chemical Biology', è stato condotto dai ricercatori della Nanyang Technological University di Singapore e della Harvard University

Morbo di Parkinson, scoperte le molecole che possono frenarlo

Sono soprattutto i soggetti adulti ad esserne colpiti (70-80% dei casi), mentre è raro che si manifesti negli individui con meno di 40 anni. Dopo l'Alzheimer, il morbo di Parkinson è la malattia neurologica degenerativa più diffusa. Per quanto riguarda l'incidenza, si è osservato che il disturbo non attua distinzioni importanti tra il sesso maschile e quello femminile. Una delle sue caratteristiche peculiari è la cronica e progressiva degenerazione dei neuroni della sostanza nera. Quest'ultima, anatomicamente, appartiene alle strutture che nel loro insieme costituiscono i cosiddetti 'gangli della base'. Il nome deriva dal fatto che tale sostanza appare più scura rispetto all'area cerebrale circostante, poiché la colorazione è legata alla presenza di un pigmento definito neuromelanina. Nel cervello di un paziente affetto da morbo di Parkinson è stata riscontrata una minore colorazione brunastra delle suddette zone. Le cellule della sostanza nera producono la dopamina, ovvero un neurotrasmettitore essenziale per l'attività motoria che, in seguito alla degenerazione parkisoniana, risulta fortemente ridotto. Infine, da un punto di vista anatomo-patologico, un segno distintivo è rappresentato dai corpi di Lewi. Si tratta di inclusioni sferiche ialine tipiche, visibili nella sostanza nera.

Fu nel 1817 che la malattia venne descritta per la prima volta da James Parkinson. Nel famoso trattato sulla 'paralisi agitante', il medico focalizzò l'attenzione sui tremori e sulla difficoltà di movimento che la caratterizzano. Le cause del morbo di Parkinson non sono ancora note. Esistono, però, due fattori di rischio. Il primo, quello genetico, consiste nella mutazione di alcuni geni fondamentali: alfa-sinucleina, parkina, PINK1, DJ-1, LRRK2 e la glucocerebrosidasi. Il secondo rischio è costituito dall'esposizione a sostanze tossiche come idrocarburi-solventi e pesticidi. Paradossalmente il fumo di sigaretta sembrerebbe avere un ruolo protettivo. I sintomi principali della patologia includono: tremore a riposo, rigidità, bradicinesia (lentezza nei movimenti automatici) e, in fase avanzata, instabilità posturale. I segni clinici si presentano in maniera asimmetrica, un lato del corpo è infatti più interessato dell'altro. In quanto subdole e incostanti, agli esordi le manifestazioni spesso non sono riconosciute e vengono scambiate per altri disturbi.

Una nuova speranza per coloro che soffrono del morbo di Parkinson giunge da uno studio condotto dai ricercatori (coordinati dai professori Yoon Ho Sup e Kwang-Soo Kim) della Nanyang Technological University di Singapore e della Harvard University e pubblicato su 'Nature Chemical Biology'. Gli scienziati sono riusciti a individuare nei topi una coppia molecolare composta dalla prostaglandina E1 (Pge1) e dalla prostaglandina A1 (Pga1), in grado di legarsi a una classe di proteine (Nurr1) indispensabili per lo sviluppo e il mantenimento della dopamina nel cervello. La scarsa presenza di quest'ultima determina nei pazienti difficoltà nel controllare i movimenti motori.

Poiché tutti i farmaci candidati contro il Parkinson non hanno dimostrato capacità neuroprotettive nei precedenti studi clinici, i risultati della ricerca sono oltremodo importanti. Si potrebbero, infatti, progettare nuove terapie per trattare la patologia con scarsi effetti collaterali.

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