Colpisce soprattutto i soggetti adulti (70-80%), mentre si manifesta raramente prima dei 40 anni. Dopo l'Alzheimer, il morbo di Parkinson è la malattia neurologica degenerativa più diffusa. Per quanto riguarda l'incidenza è stato osservato che la patologia non attua grandi distinzioni tra maschi e femmine. Una delle sue caratteristiche principali è la progressiva e cronica degenerazione dei neuroni della sostanza nera. Anatomicamente essa appartiene a quelle strutture che nel loro insieme costituiscono i gangli della base. Il nome deriva dal fatto che questa sostanza si presenta più scura rispetto all'area cerebrale circostante e tale colorazione è legata alla presenza di un pigmento chiamato neuromelanina. Nei cervelli affetti dal morbo di Parkinson è stata osservata una minore colorazione brunastra delle suddette zone. Le cellule della sostanza nera producono la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per l'attività motoria che, in seguito a degenerazione parkisoniana, risulta fortemente ridotto. Un segno distintivo dal punto di vista anatomo-patologico è rappresentato dai corpi di Lewi, ovvero inclusioni sferiche ialine tipiche, visibili nella sostanza nera.
La malattia fu descritta per la prima volta nel 1817 da James Parkinson. Nel suo famoso libro sulla "paralisi agitante", egli si soffermò sui tremori e sulla difficoltà di movimento che la caratterizzano. Non sono ancora note le cause che concorrono al suo sviluppo. Esistono, tuttavia, due fattori di rischio. Quello genetico consiste nella mutazione di alcuni geni importanti: alfa-sinucleina, parkina, PINK1, DJ-1, LRRK2 e la glucocerebrosidasi GBA. Ci sono poi i fattori tossici, ovvero l'esposizione a tossine quali pesticidi e idrocarburi-solventi. Paradossalmente il fumo di sigaretta sembrerebbe essere protettivo. I sintomi principali del morbo di Parkinson sono vari: tremore a riposo, rigidità, bradicinesia (lentezza nei movimenti automatici) e, in una fase più avanzata, l'instabilità posturale. I segnali si presentano in modo asimmetrico, un lato del corpo è infatti più interessato dell'altro. Agli esordi spesso, poiché subdole e incostanti, le manifestazioni non vengono riconosciute immediatamente.
Come riporta Ansa.it, una speranza per i pazienti giunge da uno studio condotto presso l'Università dell'Aquila e presentato al meeting Radiological Society of North America (RSNA) a Chicago da Federico Bruno, radiologo del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Cliniche applicate. Secondo la ricerca gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità e guidati da una risonanza magnetica, riscaldano e distruggono il talamo, un piccolissimo pezzetto di tessuto cerebrale. Ciò si traduce, dunque, in una riduzione immediata dei tremori, con un efficacia a lungo termine. Il trial ha coinvolto 39 soggetti affetti da morbo Parkinson, ma anche pazienti con tremore essenziale che non rispondevano alle terapie classiche. La metodica è risultata sicura nel 95% dei casi. Un altro aspetto positivo è senza dubbio legato al ridotto tempo di degenza.
La terapia con ultrasuoni inoltre, diversamente dalla stimolazione profonda con applicazione nel cervello di una specie di pacemaker, è applicabile anche a individui fragili che non sarebbero in grado di sostenere un intervento chirurgico.
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