Tumori, dopo le cure l'assistenza

Avvenuta la guarigione si deve attivare un vero processo di riabilitazione

Luigi Cucchi

Il numero degli italiani con una diagnosi di tumore continua a crescere: erano 2,6 milioni nel 2010 e 3 milioni nel 2015 (+20% nel corso di 5 anni). Di questi 3 milioni, 1 persona su 4 può considerarsi già guarita perché è tornata ad avere un'aspettativa di vita simile a quella di chi non ha mai avuto una diagnosi di tumore. La maggioranza delle persone guarite dal cancro purtroppo non torna ad una vita normale e nell'insieme costituisce la nuova disabilità di massa, con conseguenti impatti negativi non soltanto sul piano sanitario ma anche sociale, lavorativo ed economico.

Nei giorni scorsi a Roma è stato presentato l'8 Rapporto sulla condizione assistenziale del malato oncologico. Ne parliamo con Franco De Lorenzo, presidente della Federazione europea delle 500 associazioni di volontariato in oncologia (Favo).

«Il bisogno di salute del paziente con una diagnosi di neoplasia afferma Franco De Lorenzo - è superiore a quello della popolazione generale anche dopo la debellazione della malattia e persiste a lungo nel tempo, in ragione delle caratteristiche delle patologie oncologiche, dei loro effetti e delle risposte terapeutiche ed assistenziali: elevato rischio di ricaduta, presenza di comorbidità e condizione di distress, possibile tossicità a lungo termine dei trattamenti farmacologici e della radioterapia, rischio di insorgenza di seconde neoplasie, possibile riduzione della fertilità. Guarire oggi non può voler dire solo aver vinto la personale battaglia contro la malattia. Alla multidimensionalità della condizione di salute, corrisponde la complessità della guarigione. Si è guariti quando è ristabilita la piena interazione della persona nel suo contesto sociale e quando vengono ripristinate le condizioni di benessere fisico, psichico e sociale».

Il Tavolo promosso dall'associazione degli oncologi (Aiom) con la partecipazione di Favo ha identificato bisogni e diritti della persona guarita, prevedendo un piano di sorveglianza attiva per la prevenzione dei tumori secondari e degli effetti tardivi e l'organizzazione della riabilitazione. Si vuole diffondere la cultura della «survivorship care», in accordo con le associazioni scientifiche del settore oncologico. È stata tracciata una vera e propria «road map» per migliorare la qualità degli interventi e ridurre gli sprechi, condividendo i principi che devono orientare la stesura di linee guida, la progettazione della ricerca e dell'assistenza. «Per troppo tempo precisa De Lorenzo - lo sforzo, che peraltro si è inesorabilmente ridotto in questi anni di crisi del welfare, si è concentrato soltanto sulla cura della malattia. Ma ciò non è più sufficiente, l'obiettivo è il ritorno alla normalità e alla vita attiva. Deve essere garantito anche l'accesso a beni e servizi come i prodotti assicurativi e bancari, ancora oggi negati a chi ha un passato di malato. La vera guarigione, dunque, deve essere l'esito di un processo multiprofessionale in grado di dare una risposta complessa».

Superata la fase acuta, le persone guarite si sottopongono soltanto a controlli in grado di anticipare la diagnosi di una eventuale ricaduta, trascurando gli aspetti relativi alla riabilitazione oncologica che non è soltanto fisica ma anche nutrizionale, psicologica, cognitiva. Va affiancata la prevenzione terziaria che riguarda la comparsa di secondi tumori (nel 15 % di questa fascia di popolazione) e complicanze tardive di carattere cardiologico, respiratorio, gastrointestinale.

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