Come sarebbe bello se tutto fosse meno «bello»

Luca BeatriceMi piacerebbe che l'arte del 2016 tornasse a essere esistenzialmente necessaria. Che gli artisti, soprattutto i giovani, smettessero di produrre opere che sembrano saggi di danza per principianti, all'unico scopo di entrare in un certo giro di gallerie fighette: e più sono alla moda più le cose che si vedono in giro fanno letteralmente schifo. Vorrei che l'artista tornasse a essere circondato da una certa aura di maledettismo, che non vuol dire per forza fare la fame, sentirsi escluso, soffrire e magari atteggiarsi a una parte altrettanto falsa. Però basta parlare di soldi, basta considerare l'arte come uno strumento per comprarsi la casa più grande, per aspirare alla scalata sociale. L'arte è demone del disagio, condizione per la quale uno è costretto a dire delle cose, e dirle con forza, oltre la ragione. Sarebbe bello che tutto fosse meno bello ma più cattivo, più arrabbiato, che l'arte fosse il luogo del contrasto e non dell'accomodamento, della rivoluzione fallita e non del piccolo risultato piccolo borghese. Che riuscisse a farci sognare, spostare le montagne, dirottare i fiumi, mettere il mare in un cassetto, dipingere superfici gigantesche, scolpire massi pesantissimi. Abortire quell'idea di leggerezza la cui applicazione pedestre ha contribuito a uno dei più grossi equivoci culturali del nostro tempo, perché spesso dietro la lievità si nasconde il nulla. Mi porterò da qualche parte la biografia di Mario Schifano scritta da Luca Ronchi (Johan & Levi, 2012).

Del più grande pittore italiano del secondo dopoguerra nessuno avrebbe potuto dire «è mio e me lo gestisco io». Io vorrei che da questa rabbia, da questo spirito ribelle individuale, nascesse un nuovo fluire dei pensieri, delle cose e delle immagini. Difficile, ma potrebbe accadere.

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