Scandalo calcioscommesse, ecco il business da venti milioni per falsare tutte le partite

Ricostruiti i flussi di denaro investiti anche dall’estero per le 18 "combine". Un giro d'affari da sballo. Cinque società coinvolte.Le intercettazioni: tutto il marcio minuto per minuto

Scandalo calcioscommesse, ecco il business  
da venti milioni per falsare tutte le partite

Massimo Malpica
Gian Marco Chiocci

Un giro d’affari da sballo. Un flusso continuo di denaro, contante e non, alimentato da ben cinque organizzazioni illegali: «zingari», «bolognesi», «albanesi», «milanesi» e «baresi», anche se soprattutto le prime tre, per gli inquirenti, «disponevano di somme ingenti da piazzare sulle partite di calcio di tutte le categorie professionistiche». Impossibile da quantificare al centesimo, anche se gli analisti della polizia hanno fatto i conti e oggi sintetizzano in almeno 5 milioni di euro i soli investimenti per «pilotare» la manciata di partite oggetto d’indagine. Una somma elevata, ma che non è che la punta dell’iceberg, poiché non comprende le vincite, né le giocate «sciolte», quelle di chi gioca disonestamente la dritta, spesso causando il crollo delle quote per i risultati combinati.

I soldi in movimento nel sistema delle scommesse, nel solo periodo oggetto dell’inchiesta, per gli inquirenti sono almeno una ventina di milioni di euro, forse anche più. Oltre al circuito delle scommesse online «legali», ci sono i flussi transitati sui bookmaker stranieri, asiatici in particolare, che sono molto più difficili da contabilizzare per la polizia. L’esempio più eclatante sono i 23 milioni di euro giocati, solo a Oriente, su un incontro di serie B, Padova-Atalanta. Che da sola frutta più di un milione di euro all’«organizzazione».
Prima di incassare, il sistema che avvelena il calcio (e anche, letteralmente, i calciatori) investe e spende. Punta sugli incontri minori perché per «comprarli» bastano meno soldi, anche una cinquantina di migliaia di euro possono orientare il risultato come voluto. La serie B è più cara, ben oltre la soglia dei 100mila euro, per non dire della serie A, dove le tariffe per truffare la passione dei tifosi sfiorano il mezzo milione di euro.

La mancata combine di Inter-Lecce, per esempio, anche se poi si risolve in una tragedia per gli «investitori» che scommettono sulla goleada, costa al sodalizio almeno 300mila euro, tra soldi da scommettere e somme da investire per «ammorbidire» i giocatori.
Di fronte al rischio d’impresa, annotano gli inquirenti, chi mette sul tavolo i soldi vuole garanzie. Titoli bancari, assegni a copertura. Persino la detrazione del quinto dello stipendio per onorare i debiti. Persino un match di terza serie come Benevento-Pisa dello scorso 21 marzo porta a una perdita secca di 300mila euro per il gruppetto. Atalanta-Piacenza muove anche di più: 1,5 milioni di euro. Abbastanza da attirare le attenzioni dell’ufficio indagini. Business delicato, quello delle scommesse. E ricco di intrecci. Gli «zingari» si «comprano» Taranto-Benevento, e nel contempo mettono in campo 400mila euro per un match di serie A ancora da identificare. E altrettanti vorrebbero investirli in una combine che dovrebbe riguardare, stando alle intercettazioni, un incontro del Chievo. Ma i soldi sicuri si fanno con gli incontri meno in vista: Benevento-Cosenza, «gestita» dal portiere Paoloni, porta in tasca quasi 20mila a ogni scommettitore del «giro».

E i numeri si moltiplicano quando la combine, e quindi le scommesse, investono più partite insieme. Azzeccare tre risultati, ovviamente «pilotati», porta nelle casse fiumi di denaro, offrendo guadagni di 80mila euro giocandone appena 35.
Ma non tutti sorridono. Lo sa bene il protagonista kafkiano di questa vicenda, il portiere Marco Paoloni, rovinato dal vizio del gioco. I controlli della polizia sui movimenti delle sue cinque carte ricaricabili «PostePay» dimostrano che da maggio 2010 a marzo scorso il portiere, da solo, ha messo sul piatto 165mila euro. Un terzo esatto in più del suo pur privilegiato stipendio, da 110mila euro a stagione.

Come detto, non tutto è in Italia. La rete delle giocate sul web ricostruita dalla polizia porta lontano. Svizzera e Austria, Albania, Turchia, Cina, Singapore. E i nomi in ballo sono molti di più dei pochi soci della premiata ditta Signori&Co.

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