Scarpino, muore nel pozzo asfissiato dal gas a 70 gradi

La quotazione è la cartina di tornasole su un mondo che guarda indietro

Scarpino, muore nel pozzo asfissiato dal gas a 70 gradi

(...) cercato di dare manforte colleghi del giovane operaio e dipendenti dell’Amiu, diventano sempre più frenetici. Ma contemporaneamente si affievoliscono, fino a svanire del tutto, le speranze di recuperare in vita Cassola. Lo ripetono, con la rabbia che deriva dall’impossibilità materiale di intervenire, i vigili del fuoco del Comando provinciale di Genova spiegando come le condizioni ambientali all’interno del pozzo siano assolutamente proibitive. «Impensabile calare un soccorritore» per raggiungere l’operaio caduto, ripetono, senza rassegnarsi a desistere. «Là sotto - spiegano ancora - ci sono oltre 70 gradi, per la fermentazione dei rifiuti; c’è gas metano e quindi pericolo di esplosione. E non c’è ossigeno, ma c’è anche il rischio di crollo, in quanto si tratta di spazzatura sedimentata».
La sopravvivenza in un ambiente simile viene giudicata «tecnicamente impossibile». La stessa telecamera non riesce a rilevare alcuna informazione utile. Inevitabile a quel punto l’accostamento, pur con le obiettive differenze, alla tragedia di Vermicino: la caduta del piccolo Alfredino Rampi in un pozzo artesiano profondo un’ottantina di metri, ma largo solo una trentina di centimetri. Ma per recuperare il corpo di Nino Emiliano Cassola si vede che è impossibile usare la tecnica dello scavo parallelo utilizza allora, nel 1981, perché il tratto di tunnel orizzontale che può teoricamente consentire di raggiungere l’operaio si dovrebbe scavare in mezzo alla spazzatura sedimentata, non nella roccia, con conseguente rischio di crolli e di esplosioni per il gas che saturava l’ambiente. A tarda ora, entra in funzione un potente escavatore, che avrebbe poi continuato a scavare per buona parte della notte. È l’estremo tentativo. Nel frattempo, la situazione viene monitorata minuto per minuto dall’azienda in cui lavora Cassola: la Asja Ambiente Italia conferma anche di «aver attivato tutte le procedure interne di controllo in casi di emergenza», mentre alcuni dirigenti della società arrivano a Scarpino per seguire sul posto le operazioni di recupero. Nella speranza, che risulta vana, di far uscire vivo Nino dalla trappola di gas e calore.
Arriva il cordoglio (e arrivano anche le prese di posizione) di politici e sindacati. Il presidente della Regione Claudio Burlando, sulla via del ritorno dall’estero, dichiara: «Ho appreso del terribile incidente successo a Scarpino. Sono rimasto impressionato dalla sua terribile dinamica che ha fatto precipitare nel pozzo il giovane operaio genovese. Sono vicino alla sua famiglia, di fronte a questo ennesimo, gravissimo episodio che ci richiama tutti a vigilare sulle condizioni di lavoro». Durissime le considerazioni di Roberto Delogu, segretario provinciale del Partito dei comunisti italiani, che, dopo avere espresso solidarietà alla famiglia di Cassola e ai colleghi dell’operaio, parla apertamente di «ultimo anello di una catena infinita di vittime che non si riesce a spezzare, anzi i segnali vanno in senso opposto». E qui i comunisti non possono evidentemente fare a meno di dare la colpa al governo «che vuole modificare il testo della legge fatta dal precedente che inaspriva le sanzioni per i datori di lavoro, i quali, paradossalmente, le ritengono eccessive». Un ulteriore accenno lo fa Delogu al «massacro mediatico come quello fatto nei confronti di rom, extracomunitari e ultimamente prostitute e omosessuali» che andrebbe invece rivolto «nei confronti di coloro che non applicano le misure sulla sicurezza del lavoro».

Come se l’inchiesta sulla tragedia e l’accertamento dei fatti fossero già acquisiti. Con quale approfondimento, non importa: ogni occasione, anche la più drammatica, diventa buona, anzi ottima, per sferrare un attacco politico.

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