«È una scelta saggia Ma per me è tardi»

Parla il benzinaio che nel ’95 sparò a due rapinatori per proteggere suo figlio

Franco Sala

da Carate (Milano)

È ancora lì al suo posto a vendere benzina Francesco Cutuli, il benzinaio di Carate Brianza che, il 13 settembre del 1995, per difendere la sua vita e quella del figlio Diego, uccise due rapinatori che sono entrati di prepotenza nel suo chiosco per mettere a segno una rapina. Il gestore, protagonista suo malgrado, di quella brutta storia che gli ha rovinato la vita per sempre, dice solo poche parole sulla nuova legge che ridisegna il diritto alla legittima difesa. «Spero davvero sì tratti di una buon provvedimento legislativo. Chiaro, di facile interpretazione e applicazione: soprattutto senza cavilli». Francesco Cutuli, 58 anni, raddrizza i baffoni che porta da sempre scuote la testa, ma non vuole giudicare, misura le parole è stanco della ribalta, dei cronisti. Eppure, il gestore non vuole neppure fare scena muta: «Dico, ben venga questa legge, magari se fosse stata in vigore quando, per difendermi dagli aggressori, fui costretto ad aprire il fuoco non sarei finito di fronte alla Corte d’appello per difendermi dall’accusa di duplice omicidio volontario». Ha dovuto affrontare un processo lungo e snervante prima d’essere assolto. «Non riesco più a capire se sono più tutelati i delinquenti o la gente per bene che lavora sodo dodici ore il giorno».
Francesco Cutuli, parla e capisci che, ripercorre nella mente il suo calvario giudiziario. È ancora un po’ spaesato. Quel maledetto 13 settembre di nove anni fa due rapinatori, Walter Carbonai e Ivano Costa, entrambi con un fascicolo penale alto così piombano nel suo chiosco sulla Valassina: urlano, minacciano, sono armati con una pistola e un coltellaccio. Il benzinaio consegna l’incasso, 500.000 lire, tutto quello che ha in cassa. I banditi non sono soddisfatti, prendono il figlio del gestore, Diego e gli puntano il coltello alla gola: vogliono altro denaro. Cutuli è terrorizzato, gli occhi di padre e figlio s’incrociano, il benzinaio estrae la Beretta semiautomatica e svuota il caricatore. I banditi crollano, il loro cuore cessa immediatamente di battere. Sul posto arrivano i pubblici ministeri di Monza Giovanni Gerosa e Valter Mapelli, chiedono per ben due volte il proscioglimento: il benzinaio si è difeso. L’11 luglio 1997 il Gip lo vuole alla sbarra e con un’accusa da brivido: duplice omicidio volontario. La notizia gli piomba tra capo e collo, come un colpo di mannaia. I commercianti gli danno una mano a sostenere le spese, perché per difendersi deve sborsare tra avvocato e perizie un’ottantina di milioni. Ci sono voluti cinque anni e quattordici udienze prima di arrivare il 3 novembre del 2000 al verdetto d’assoluzione.

Disse allora Cutuli: «Ogni giorno penso a quei due, mi spiace siano morti ma se la sono cercata. Non potevo che sparare, stavano minacciando di morte il mio ragazzo». Il benzinaio era convinto della sua innocenza ma non della sua assoluzione. «Con la mia coscienza avevo già fatto i conti».

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