Se il golpe dei boss coincide con quello delle toghe

La storia delle più infìde bufale giudiziarie avrebbe dovuto insegnarci qualcosa in tutti questi anni. Invece l'one-man show che, sul palcoscenico di Palermo, ci sta regalando il pentito Gaspare Spatuzza, fa presagire scenari peggiori di quelli costruiti, a suo tempo, attorno al grottesco bacio di Totò Riina a Giulio Andreotti. La mafia ci prova un’altra volta. Una volta di più. Ma non più con le bombe del ’93, seminate come tagliole attorno all’allora imprenditore in ascesa politica, Silvio Berlusconi, bensì con la lingua biforcuta dei suoi picciotti di calibro medio.
Intendiamoci, non sarebbe una novità, questa, se ci fermassimo ai liquami che escono dalle loro bocche. Ma la novità è e potrebbe essere ben altra: quella di un vero e proprio golpe che la mafia sta cercando di attuare in un modo molto semplice. Lasciando cioè che, con la solita irraggiungibile fantasia, che nasce nelle università dei pizzini, il pentito o i pentiti di turno svuotino la loro personale cloaca delle «rivelazioni straordinarie». Per interpretare, consapevolmente o inconsapevolmente, per la prima volta, un ruolo molto più strategico. Perché, in questa particolare occasione, il gioco al massacro si è fatto, come dire, più raffinato. E il grimaldello che uno, o più ignobili registi, stanno usando per scardinare le istituzioni e infangare l’uomo più infangato d’Italia esce nuovo-nuovo dalla fucina delle invenzioni più diaboliche. Se è vero come è vero che fino adesso i magistrati (quanto è successo nella prima Repubblica non è altro, anche se ingiallita, che una illuminante fotocopia) si sono serviti dei pentiti attingendo a piene mani dalle loro dichiarazioni per arrivare al bersaglio prediletto (e il prediletto di buona parte della magistratura italiana è sostanzialmente uno e uno solo) è altrettanto vero, o almeno tutto fa supporre a nostro avviso che vero lo sia, che questa volta la mafia stia usando, tramite i pentiti, la magistratura per attuare i suoi disegni più destabilizzanti.
Questa tesi è meno ardita di quanto possa sembrare se consideriamo che Filippo Graviano, capo clan nonché figura di peso nel mondo di Cosa nostra, non si sia nemmeno sognato di lanciare contro Spatuzza, i suoi parenti stretti e giù fino ai nipoti dei nipoti, i soliti anatemi che preludono alla scontata vendetta contro gli infami ma, al contrario, abbia usato nei suoi confronti un pacato linguaggio oxfordiano («Ti auguro tutto il bene del mondo non ho niente contro le tue scelte, anzi sono contento che tu abbia trovato la pace...» ). Certo a rileggere le sbrindellate deposizioni rese da Spatuzza appena cerca di entrare nell’orbita più vicina a Berlusconi c’è da vergognarsi per l'inconsistenza fatta verbale: «...Filippo Graviano era molto tifoso di Berlusconi però non è mai oltre a dirmi ... possiamo dire dell’amore che lo lega a lui, alla sua figura professionale... cioè osannava questo personaggio». Ma non c'è da sottovalutarlo invece nel momento in cui Spatuzza ci racconta che l’altro Graviano, Giuseppe, mostrò tutto il suo odio contro Berlusconi quando fu reso permanente il carcere duro per i mafiosi stabilito dal famoso articolo 41 bis. «È un cornuto», tuonò, schiumante di rabbia Giuseppe Graviano, ricorda Spatuzza. Ecco il vero anatema. Eccola la promessa e la premessa di un piano eversivo contro un premier, un governo sempre più scomodi. Sempre più ostinati nella lotta alle cosche. I numeri, che i mafiosi conoscono meglio di noi, parlano chiaro: una media di sette arrestati al giorno, per un totale di 3630 mafiosi arrestati dal maggio 2008 all'ottobre 2009. Tra questi 916 aderenti a Cosa nostra, di cui 15 latitanti che facevano parte della lista dei 30 ricercati più pericolosi. Il governo più ostile che un’organizzazione malavitosa possa mai desiderare di trovarsi davanti.

Un governo e un premier da togliere di mezzo. Da servire su un piatto d’argento ad una magistratura ingorda. Sempre disposta ad inghiottire bocconi, anche velenosi. Da ruminare con calma per arrivare sempre e comunque al Cavaliere.

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