Se il tatuaggio chic è una questione di pelle

RomaChe sarà un pomeriggio difficile lo intuisci quando parcheggi il tuo innocuo Liberty 150 in un buco tra due Harley Davidson, quella a sinistra con lunghe frange nere a pendere dal manubrio. Sei venuto alla dodicesima edizione dell’International Tattoo Expo in corso fino a domani all’hotel Ergife, sulla via Aurelia, a cercare di capire qualcosa sul mondo dell’arte disegnata sulla pelle. Sai che farsi fare ed esibire un tatuaggio è stato dapprima roba da marinai e detenuti, poi da trendsetter, quindi da tamarri e infine una cosa chic. Sei l’unico ad avere la pelle immacolata, a parte forse qualche cameriere che spaccia panini e caffè dietro il bancone del bar, ma ti sei informato. E hai capito che il tatuaggio stylish è piccolo, rarefatto, vedo-non-vedo, un po’ romantico. Poi sei entrato all’Ergife - l’albergo dei grandi concorsi pubblici - e ti sei trovato davanti a giganteschi hell’s angels con il pizzetto e debitamente borchiati e un boccale di birra in mano, a decine di ragazzette dark (si dice ancora?) con l’anima e il corpo tenute insieme dai tatuaggi, a frotte di rocker in disarmo, qualcuno con il figlio nel passeggino.
L’International Tattoo Expo è la più importante rassegna di tatuaggi in Italia: vi si danno appuntamento centinaia di tatuatori di tutta Italia e del mondo. Vengono da Pescara e Mesagne, ma anche da Barcellona, San Francisco, Tokio. Tra heavy rock a palla ed esibizioni di spericolate Mbx, mostrano il loro book e lavorano in pubblico sui loro clienti, che rinunciano a ogni privacy disfacendosi felici e indolenziti sul lettino con la maglietta sollevata a mostrare un lontano ricordo di addominali. Ognuno dei tatuatori usa uno stile e una tecnica differenti, l’unica cosa comune è la grande attenzione per la sicurezza, che ormai è data per scontata: guanti asettici, cerotti e pellicola trasparente - quella che a casa usiamo per le polpette avanzate - con cui viene impacchettata la parte del corpo in edizione riveduta e corretta.
Ma tu non ti arrendi e scopri che il tatuaggio è arte molto sfaccettata, praticata dalle persone più diverse sulle persone più diverse. «Tra i nostri clienti c’è di tutto, non esiste più un tipo da tatuaggio - dice Paola Robiolio della Dolce Vita Tattoo di Parma -. Ormai il tabù del tatuaggio è caduto e da noi viene chiunque, dalla quindicenne accompagnata dal papà che deve firmare la liberatoria alle donne intorno alla quarantina che hanno esitato a lungo. La nostra clientela è attenta e sensibile e ama farsi consigliare da noi». Lo stesso quadro dipinto da Francesco Tamagno, che lavora a Busalla (Genova): «C’è il collezionista che riempie il suo corpo e la ragazzina che viene a farsi la stellina e poi quasi cerca di nasconderla». E quanti alla prima volta? «Diciamo uno su cinque».
Laura Villa è milanese ma ha uno studio alla periferia Nord di Roma. Racconta di avere da poco realizzato il tatuaggio con l’immagine di un cagnolino al braccio di una cliente sulla settantina. Trova che il tatuaggio sia una forma d’arte contemporanea: «La gente non si compra più un quadro, con la stessa cifra si fa un tatuaggio, e il quadro se lo porta con sé». Trova un po’ passati di moda i tatuaggi tribali (ma ammette di averne fatto di recente uno a un vicedirettore di banca). Per lei il tatuaggio vero è quello realistico. «È quello per chi ama la perfezione, il colore. Quello più vicino all’opera d’arte». Dice di andare a vedere lo stand dove lavora Alex De Pase, friulano di Grado, star indiscussa del tatuaggio realistico italiano. Praticamente il Caravaggio degli aghi. C’è folla ammirata davanti al suo cubicolo, lui ha l’aria del ragazzo che a scuola era primo in matematica e ti passava anche il compito. Sta immortalando sulla schiena di un giovane con gli occhiali una grande immagine di Stanlio e Ollio seduti su una panchina, un po’ tristi in verità. Ma è un vero capolavoro. L’esatto contrario delle prodezze di chi deve tatuare una frase sul corpo del cliente e sbaglia come a scuola la versione di latino.

È accaduto all’attrice e cantante Hayden Panettiere che in onore delle sue origini decise di farsi tatuare una frase in italiano e si ritrovo con: «Vivere senza rimipianti», con una «i» di troppo. L’incubo di un giornalista: un refuso sulla pelle.

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