Nonostante nove milioni di processi arretrati, il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, è felice. Il capo degli ermellini ha, infatti, inaugurato l’anno giudiziario sprizzando soddisfazione da tutti i pori di fronte ai presidenti Napolitano e Monti nell’Aula Magna della Suprema corte. Ma se la giustizia (per sua stessa ammissione) è in coma, perché tanta gioia da parte di Lupi che ne è il massimo responsabile? Ovvio: non sta più nella pelle da quando il Berlusca ha fatto fagotto. È questo il succo di un’ora di alate parole. Un inno allo scampato pericolo e alla placida restaurazione dei privilegi delle toghe, alla loro storica intoccabilità e un aut aut a chiunque in futuro voglia rimettere becco negli affari di Lorsignori.
«È mutata l’atmosfera politica», ha esordito il primo presidente della Cassazione, guardando con gratitudine Napolitano e Monti artefici del mutamento. «Si sono diradate le nubi che si erano addensate sul nostro impianto costituzionale». Il lettore è troppo intelligente per non intendere che l’illustre magistrato è giulivo perché la riforma della giustizia berluscon-alfaniana è andata a farsi friggere. Ricordate? La separazione delle carriere tra pm e giudice, la meritocrazia, la fine delle promozioni e aumenti di stipendio automatici eccetera. Tutto in cavalleria e Lupo, felice, sale a cavallo mettendo, con alcune abili bugìole, in cattiva luce la riforma che fu. Dice: «Per anni, la prevalente attenzione della politica è stata dedicata, con la scusa di attuare un riequilibrio dei poteri (la scusa! come se da vent’anni i governi non fossero fatti e disfatti dalle toghe, ndr), al malcelato intento di ridimensionare il controllo di legalità» sul potere politico. Nella visione lupesca, evidentemente, il processo Ruby appartiene alla categoria dei controlli sull’attività politica e di governo dell’ex premier.
Così, va avanti per diverse decine di minuti finché arriva al punto in cui ribadisce che i rapporti tra pm e giudici devono restare gli stessi di oggi: colleganza, scambio di ruoli, identiche carriere. Cioè, una pietra sopra la riforma e sulla battaglia che, negli ultimi vent’anni, non solo il Cav ma anche i tanto sbandierati Falcone e Borsellino hanno fatto per mettere un muro tra chi nel processo accusa e chi giudica. Anche qui, Lupi trucca le carte. Dice, infatti: «Il modello deve restare quello caratterizzato dall’indipendenza del giudice e del pm», sottintendendo che il disegno di legge Alfano togliesse l’autonomia al pm, sottomettendolo al Guardasigilli. Il che è falso. Non ce n’è traccia nel disegno di legge, è stato smentito in tutte le salse, ma Lupo - per dire l’onestà delle toghe - fa finta di niente e maramaldeggia sulla defunta riforma come se la temesse anche da morta.
Per finire in bellezza, l’ermellino fa un accenno all’Europa, che di questi tempi fa chic. «Bisogna sintonizzarci con l’Ue - ha detto, sapendo di compiacere i due ospiti in platea che ne sono le vestali - anche in ambito giuridico e giudiziario». E qui, si è dato la zappa sui piedi. Lupo sembra ignorare - e probabilmente ignora davvero, chiuso com’è nel suo fortilizio corporativo - che la riforma da lui detestata era l’esatta applicazione di una richiesta europea all’Italia: separate anche voi le carriere come avviene in tutti gli altri Paesi del continente. E così, volendo strafare, ha strabordato. Dispiace, perché era la sua ultima inaugurazione prima del pensionamento.
Il primo presidente appartiene, purtroppo, a quella categoria di alti papaveri che conosce perfettamente lo stato delle cose, ma sceglie il quieto vivere anziché rompere le convenzioni. Lupo sa che la giustizia è un caos, il livello dei giudici basso e la loro politicizzazione alle stelle. Ma anziché denunciarlo urbi et orbi nell’occasione solenne di ieri, ha preferito prendersela col Cav, assente e azzoppato, rinunciando a fare pulizia in casa propria.
Ci sono però due Lupo. Una decina di giorni fa, presentando un libro a Napoli, il primo presidente ha parlato in tutt’altro modo. È vero, l’occasione era conviviale o forse pensava di non essere ascoltato o era di umore diverso, sta di fatto che ha ribaltato il quadro dipinto ieri, mostrando che anziché vittima, la magistratura è - per suo demerito - alla frutta. Riassumo. L’abbassamento della competenza e preparazione dei magistrati è oggi a un livello «minimale». Ciucci, insomma. In più, sono stracoinvolti in politica, sparpagliati tra Parlamento, giunte amministrative, partiti.
E si è chiesto: «Come può un magistrato, formato nel culto dell’essere super partes, sentire dentro di sé il bisogno di parteggiare in politica?» il che, detto a Napoli dove un ex magistrato è sindaco (De Magistris dell’Idv) e un suo assessore è magistrato in
carica (Narducci, accusatore del pdl Cosentino), era un bel dire.Sante parole, dottor Lupo. Ma perché non ha fatto l’inverso: pusillanime tra i quattro gatti napoletani, coraggioso ieri che era sotto gli occhi di tutti?
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