Piero Fassino dice, confessandosi con Massimo Giannini su Repubblica, che la Finanziaria «acquisterà un senso solo se la accompagneremo con un seconda fase dell'azione di governo». A differenza di Romano Prodi non si aspetta di ricevere gli applausi fra un anno. Capisce - lo si avverte dal tono del linguaggio - che la sfiducia popolare, un vero e proprio ripudio, nei confronti dell'Unione ha ragioni vere e che il suo significato è più forte di qualsiasi voto di fiducia parlamentare. Uno sprazzo di onestà da riconoscere al segretario ds, perché una traduzione cruda delle sue parole suonerebbe così: per il centrosinistra, per il presidente del Consiglio, per Tommaso Padoa-Schioppa, per la sinistra massimalista e anche per l'Ulivo sono stati sei mesi insensati. È un passo in avanti per chi ha l'abitudine di riconoscere gli errori dopo venti o trent'anni. Ma c'è da crederci?
Ora la scommessa è, infatti, sulla «seconda fase». Nel «manuale di sopravvivenza» dei riformisti dell'Unione questa formula significa che - se la sfangheranno in Senato, dove continueranno a tapparsi il naso e a votare una Finanziaria che riconoscono priva di senso - apriranno il dossier delle pensioni, degli ammortizzatori sociali e delle liberalizzazioni, chieste da Francesco Rutelli dal momento che quelle di Bersani, il miracolo della scorsa estate, sono già state dimenticate.
Fassino ne parla con la stessa sicurezza e con la stessa speranza di un assetato nel deserto, incantato davanti a un miraggio. Non può rispondere alla prima domanda che si pone: con chi aprirà questa «seconda fase»? Una parte dei suoi alleati, a cominciare dal leader della sinistra di piazza e di governo in versione 2006, Oliviero Diliberto, ha già detto che non intende rinunciare alla propria identità. Romano Prodi, che ha un «manuale di sopravvivenza» tutto suo, un'edizione ben diversa da quella utilizzata dai leader di Quercia e Margherita, non vuole neanche pronunciare una formula che suona a smentita della Finanziaria e che romperebbe l'equilibrio della coalizione. Il blocco sociale organizzato che vuole «far piangere i ricchi» va per la sua strada. In altri termini, i maggiori responsabili di questi sei mesi insensati non ci pensano nemmeno.
È dunque una domanda senza risposta. Fassino non può dire esplicitamente che non ci sarà alcuna «seconda fase» con un presidente del Consiglio padre-padrone della coalizione, con una «sinistra di piazza» indispensabile e numericamente insostituibile, con un'alleanza in caduta libera nei sondaggi e quindi terrorizzata di fronte al rischio di una crisi. Non può riconoscere che i «riformisti» del centrosinistra sono stati chiusi in un angolo. Si limita a vergognarsi un po' della Finanziaria, non prende atto del fallimento consumatosi in soli sei mesi e non annuncia l'apertura di una vertenza aperta nella maggioranza. Non dice che bisognerebbe cambiare tutto, a cominciare da Prodi, dagli alleati massimalisti, dalla stessa Unione. Preferisce affidarsi al caso, allo scenario di un'implosione dell'opposizione, a qualche spostamento progressivo del quadro politico, pronto a riabilitare la Lega, magari chiedendo una censura preventiva sulle magliette di Calderoli. Insomma una vita di espedienti.
La realtà è che alle porte la «seconda fase» non c'è e che quindi non ci sarà l'apertura del dossier delle riforme. C'è solo l'ennesimo miraggio dei moderati della sinistra che sussurrano la loro sete di innovazione prigionieri nel deserto creato dall'asse di ferro tra Prodi e i massimalisti.
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