Le segrete affinità fra Borges e Brandi nel far rivivere luoghi e monumenti

S e penso ai luoghi di Cesare Brandi, a quelle terre da lui viste e narrate, ai monumenti, ai paesaggi, alla storia, a quello spirito dei luoghi che solo i grandi viaggiatori sanno elevare, indicare, dipingere, accennare, sussurrare, non posso non ricordare quel mio viaggio a Buenos Aires, avvenuto dopo la morte di Jorge Luis Borges. Qui ho incontrato Borges in una situazione tipicamente «borgesiana», cioè nella totale assenza non solo di lui, ma anche del suo stesso senso del mondo e dell’universo che erano i libri, perché, come forse non molti sanno, a Buenos Aires c’è una nuova biblioteca, dove sono confluiti, in questa architettura particolarmente brutta, tutti i libri della biblioteca nazionale, che era stata diretta proprio dal grande scrittore argentino.
L’edificio della vecchia biblioteca nazionale c’è ancora, non è stato trasformato e rimane una grande scatola, una grande architettura con tutti gli scaffali e con tutti gli spazi vuoti. Quell’universo di libri che era stato il mondo di Borges è come evaporato, e dopo la sua morte, avendo sostituito la sede della biblioteca, sono rimasti gli scaffali vuoti e senza neanche un libro. C’è anche la scrivania di Borges, il luogo dove egli aveva il suo ufficio, il suo studio, dove non c’è più nulla. Non sono rimaste testimonianze, neanche una piccola lapide, un’iscrizione, un ricordo che ti dicano, o ti facciano intuire, che quello è il luogo in cui lui ha passato molte ore, ha letto, ha pensato, ha scritto. Vedi la sua scrivania, senza libri. Vedi la sua sedia e il suo tavolo, senza nessuna traccia di lui e neanche nessun ricordo della sua memoria. Alzi lo sguardo e vedi decine di scaffali tutti completamente vuoti, come se il mondo dei libri fosse stato riassorbito dentro di lui e fosse sparito con lui, si fosse dissolto con lui.
Allo stesso modo Bari e la Chiesa di San Nicola, Trani, Martina Franca, Alberobello, Lecce, Gioia del Colle, Turi, Conversano, e ancora Gallipoli, Santa Maria di Leuca, Taranto, Massafra, Mottola, Matera, Gravina, Altamura, e ancora Acerenza, Melfi, Foggia Lucera, Montesantangelo, Rodi Garganico, Boemondo, pieni di luce, di storia, di monumenti, di iscrizioni, di tradizioni non potrebbero essere più vivi che nelle parole di Cesare Brandi, il cui sguardo acuto, fissato nei suoi scritti di viaggio, oggi manca al paesaggio italico. Quasi che lo sguardo del viaggiatore Brandi potesse attribuire vita alle pietre e ai colori della luce, preservandone bellezza e abbandono, sublimi sentimenti e solitudini assolate.


Nell’assenza di Brandi, come in quella di Borges, a chi si incammina per i luoghi da loro creati e ricreati, per quel sottile senso che l’universo cela dietro la sensibilità della loro mancanza, viene rivolto l’invito di mantenerne la memoria, fosse di una pietra o di un dipinto, di un affresco o di una scultura, di uno scaffale vuoto o di una scrivania polverosa, di una veduta, di un volto che si piega in ginocchio al cielo del Salento. Il viaggio di Brandi in terra di Puglia è preghiera, monito e invocazione a non uccidere, deturpando, ciò che vive anche e specialmente in absentia.

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