Paolo Armaroli
Come Giano, il diessino Vannino Chiti ha due facce. Da un lato è ministro per i Rapporti con il Parlamento, dall'altro è ministro per le Riforme istituzionali. Insomma, è uno e bino. E rischia, poveretto, una dissociazione schizofrenica. Sì, perché si rapporta in maniera assai diversa con ciascuna delle due cariche ricoperte. Come ministro per le Riforme istituzionali, si rigira i pollici. Vorrebbe ma non può. Ha davanti a sé un programma elettorale dell'Unione che promette mirabilia anche in tema di riforme istituzionali. Però resta sulla carta. Non si è fatto nulla di nulla. E nulla di nulla è in fase di studio.
Eppure, come i marinai l'Unione era stata prodiga di promesse. Per mesi e mesi, fino alla mancata conferma per via referendaria, ha detto peste e corna della riforma costituzionale approvata dalla Casa delle libertà. Ma si era posta sulla sua scia. A parole reclamava un Senato snello di effettiva rappresentanza delle regioni e delle autonomie. A parole si proponeva di «migliorare» quella riforma del Titolo V della Costituzione che essa stessa ha spensieratamente approvato in solitudine nel 2001, senza darsi troppa pena per la tirannide della maggioranza. A parole aveva riconosciuto la necessità di attuare al più presto il federalismo fiscale. E sempre a parole, pensate un po' che bella faccia tosta, l'Unione si riprometteva di ridurre i costi della politica. E ha formato un governo che per dimensioni non ha precedenti.
Ora, sarà grasso che cola se la montagna programmatica riuscirà a partorire il topolino di una riformetta del predetto Titolo V. Più che di Chiti, però, il merito sarà dell'intramontabile Luciano Violante. Che non è più presidente della Camera, non è più presidente dei deputati diessini, ma proprio per questo scalpita perché vorrà dimostrare che, presidente com'è della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, non è finito ai giardinetti. Il ministro per le Riforme istituzionali, quindi, sembra rassegnato al dolce far niente. Poi però c'è l'altro Chiti, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, sempre sull'orlo di una crisi di nervi. E si capisce. Al Senato, dove l'Unione ha una maggioranza di carta velina, è costretto a stare con tanto di occhi aperti perché da un momento all'altro il governo rischia di andare sott'acqua. Soprattutto adesso che Prodi sulla finanziaria esclude accordi bipartisan e confida, a dispetto di contrasti intestini che fanno presagire il peggio, nell'autosufficienza della maggioranza.
Ingegnoso com'è, così Chiti ha avuto una bella pensata. Parola del Sole-24 Ore, che non è solito raccontare frottole. Nei ritagli di tempo l'insonne ministro avrebbe messo sotto osservazione i regolamenti dei due rami del Parlamento e starebbe accarezzando l'idea di una corsia preferenziale per i provvedimenti che il governo considera urgenti, compensata - aria fritta - da una più puntuale garanzia di controllo per l'opposizione. Chiti sa che quando un'assemblea parlamentare discute modifiche al proprio regolamento i banchi del governo sono vuoti perché si tratta di acta interna corporis. Così, furbo com'è, non si espone in prima persona e manda in avanscoperta il vicepresidente del Senato Gavino Angius. Guarda caso, diessino pure lui. In un gioco delle parti, l'uno starnutisce e l'altro si soffia il naso. Mentre tutto questo bolle in pentola, Cossiga lancia l'allarme.
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