Sentenza del Tar

MilanoLa bocciatura suona così. «Sarebbe del tutto illogico permettere che una materia tanto sensibile qual è quella afferente all’interruzione volontaria della gravidanza possa essere disciplinata differentemente sul territorio nazionale, lasciando che le regioni individuino, ciascuna per il proprio territorio, le condizioni per l’acceso alle tecniche abortive e, attraverso la definizione delle procedure, il grado di attendibilità degli accertamenti di quelle motivazioni». Il Tar della Lombardia - su ricorso di otto medici che operano in strutture pubbliche della regione - annulla così la delibera del 2008 con cui il Pirellone aveva introdotto il limite delle 22 settimane più tre giorni per l’interruzione di gravidanza.
Scrivono i giudici amministrativi che «le norme contenute nella legge 194 del 1978 definiscono concretamente il contenuto dei diritti che fanno capo rispettivamente a madre e nascituro, e quindi incidono sulle prestazioni da garantire affinché quei diritti possano essere tutelati». Inoltre, la 194 «non interferisce in un giudizio volutamente riservato agli operatori (ginecologi e ostetriche, ndr), i quali devono poter effettuare le proprie valutazioni esclusivamente sulla base delle risultanze degli accertamenti svolti caso per caso e sulla base del livello delle acquisizioni scientifiche e sperimentali raggiunte nel momento in cui vengono formulate le valutazioni stesse». In altre parole, la legge nazionale - fissati dei paletti - lascia autonomia al medico. Cosa che la delibera regionale, invece, impedirebbe.

Dunque, sono «illegittime» le linee guida della Regione sui limiti temporali per l’aborto, così come illegittime vengono giudicate le disposizioni che prevedono le consulenze di uno psicologo, la firma da parte dei ginecologi su un certificato che attesta le condizioni necessarie per accedere alle tecniche abortive, e il supporto di due specialisti di altre branche della medicina per diagnosticare la sussistenza dei gravi pericoli di salute.

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