Una serata russa per la Argerich

La pianista Martha Argerich, sabato in Conservatorio (ore 21), è l’icona femminile del pianoforte. Un ciclone di energia e di carisma che soggiogano chi siede in platea, ma pure chi scambia con lei quattro chiacchiere in camerino. Il pubblico la venera come fosse una diva: tra le poche rimaste ormai nel mondo della musica classica. Un personaggio che non richiede particolari interventi mediatici per essere considerato tale. È una diva fragile ed energica allo stesso tempo. Pare una leonessa quando raggiunge il pianoforte, il vigore può essere tale da oscurare un’intera orchestra, sferra ottave trilli, accordi d’acciaio con tecnica - dopo mezzo secolo di carriera - ancora infallibile, eppure è una forza che non guasta il suono: sempre bello e tondo. Un camaleonte pronto a cambiare tinte e consistenze all’istante, per un pianoforte che conosce tutte le gamme dell’espressione passando dal selvaggio percussivismo al lirismo puro. Rovescio della medaglia, questa interprete argentina da anni ormai ha rinunciato al solismo nudo e crudo per optare per la musica da camera o per combinazioni con orchestre, e ciò perché le riesce difficile reggere ansie e stress che un palcoscenico vissuto in completa solitudine comporta.
Argerich infatti ritorna a Milano per le «Serate Musicali», della quale è ospite fissa, in duo pianistico con Alexander Mogilewsky, classe 1977, di Odessa, fra i talenti che la señora del pianoforte cura e sostiene promuovendo progetti, in genere in Svizzera. Maestra e allievo prediletto, si tuffano nella Russia di Sergej Prokofiev, Piotr Ilyich Cajkovskij e Sergej Rachmaninov proponendo tre Suite. Apertura con le delicatezze viennesi del Rondò D 951 di Franz Schubert.
La storia di questa indomita, enigmatica e inafferrabile pianista di Buenos Aires prendeva le mosse da un riconoscimento, all’epoca ricco di futuro, quale la medaglia d’oro del Concorso «Busoni», seguiva il premio a Ginevra, quindi la prima di una serie di crisi: inevitabili per una personalità che combina in un colpo solo estro, ipersensibilità e attitudine alla riflessione. Così, la Argerich piantava tutto in asso. Un paio d’anni e riprendeva, alla grande: vinceva il Varsavia.

E di nuovo, recuperava il suo tragitto di irriducibile discontinua, di pianista «carsica»: che appare e dispare dalla scena musicale assecondando le crisi di donna e di artista. Una donna generosa, pronta a aiutare e a sorreggere il cammino di giovani interpreti sempre più soli e quindi bisognosi del viatico dei grandi.

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