Sfila a New York la rivincita dello stile italiano

Sfila a New York la rivincita dello stile italiano

New York«Noi americani siamo ottimisti, non ci piacciono le facce tristi e crediamo nel lieto fine». Tommy Hilfiger è molto soddisfatto del contratto di licenza quinquennale firmato con Ittierre, l'azienda molisana salvata in extremis dal crac e oggi controllata dal Gruppo Albisetti di Como. Prodotte in Italia e consegnate in tempo utile per le sfilate di New York nonostante il maltempo che imperversa nel nostro Paese, le collezioni uomo e donna del simpatico stilista di Elmira sono semplicemente perfette oltre che esemplari di quel «make them a chance» (letteralmente: «diamogli una possibilità») per cui l'America continua a essere la terra promessa di chi non vuole arrendersi alle disgrazie. L'uomo che Hilfiger immagina per il prossimo inverno ha qualcosa del cadetto di West Point in salsa preppie, ovvero lo stile delle «preparatory school» che preparano alle prestigiose università statunitensi tipo Harvard. La donna, invece, è una deliziosa cavallerizza che passa la vita tra Park Avenue - una delle vie più eleganti di Manhattan - e Greenwich, l'esclusiva località campestre a 50 minuti dalla città in cui hanno sontuose case da weekend Diana Ross, Mel Gibson, Ralph Lauren e lo stesso Hilfiger. Così sul raffinato tailleur in pelle color burgundy indossa il classico cap da equitazione invece del cappello. Sotto ai raffinati chemisier in seta stampata con i tipici motivi equestri tipo briglie e finimenti oltre alle grosse trecce dei pullover sportivi, sfoggia magnifici stivali da cavallerizza invece dei mocassini da signora dei quartieri alti. Tutto ha quel sapore sportivo, chic e al tempo stesso concreto che ha sempre caratterizzato la moda anglosassone.
«Massì, voi italiani avete vinto» risponde invece Diane Von Furstenberg a chi le chiede se il Cfda (la camera della moda americana di cui l'irresistibile signora è presidente) ha finalmente rinunciato all'idea di ritardare l'inizio delle sfilate newyorkesi dal prossimo settembre provocando di fatto una riduzione del calendario milanese a quattro misere giornate. Speriamo sia vero, ma intanto sulla passerella del Lincoln Center, Diane e il suo giovane direttore artistico, Yvan Mispelaere, hanno presentato quel potenziale pericolo che alberga in ogni donna: il lato glamour della seduzione dal primo appuntamento in poi. Ecco quindi perché sotto agli avvolgenti cappottoni oversize (bellissimo quello in bouclé verde charteuse) compaiono sensuali abitini drappeggiati addosso oppure sottili pantaloni a sigaretta. Le forme del corpo s'intuiscono sempre esaltate anche dall'uso di vividi colori accostati con gusto molto francese: rosa pallido e rosso lacca oppure cipria e mandarino.
Sugli accostamenti cromatici nessuno osa quanto Custo Barcelona che stavolta si concentra sulla sperimentazione dei nuovi materiali con risultati a dir poco sorprendenti. «Volevo celebrare un matrimonio impossibile tra tessuti a telaio e fibre dell'ultima generazione fatte con carta riciclata, bamboo, pannocchie di mais o proteine del latte» spiega il designer spagnolo nel backstage annunciando l'apertura di circa 300 nuove boutique in Cina nei prossimi tre anni oltre a quella che presto verrà inaugurata a San Paolo del Brasil.
Impeccabile e a tratti poetico lo spettacolo offerto da Adidas Y-3, linea disegnata dal grande Yohji Yamamoto che ha fatto sfilare i suoi modelli su una passerella di tappeti orientali.

La collezione era infatti ispirata a un immaginario viaggio dai confini della Mongolia all'Inghilterra edoardiana con sapienti tocchi di modernità soprattutto nelle sneaker dal tacco assente: vere e proprie sculture per i piedi. Applauditissima la sfilata di Edun, marchio fondato nel 2005 dalla moglie di Bono Vox, Ali Hewson, per incoraggiare con un progetto di lavoro la ripresa dell’Africa.

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