Il sigillo, l'anello nuziale, diciamo così, è una pubblicazione del 1956: Ezra Pound compila un omaggio alla sua musa, La Martinelli. Il libretto è edito da Vanni Scheiwiller in 500 copie, è una rarità bibliografica: si trova in pochissime biblioteche Roma, Milano, Firenze, Genova e su ebay costa quasi mille euro. Il libro sta in tasca, conta 30 pagine, e riproduce opere «che a Scheiwiller parevano insignificanti», mi dice Massimo Bacigalupo. Eppure, quel libro è la serratura attraverso cui accedere a una storia entusiasmante.
La Martinelli, in realtà, si chiamava Shirley Burns Brennan, nata a Philadelphia il 17 gennaio del 1918, la più vecchia di quattro figli di un cattolico irlandese perennemente alcolizzato. Sheri era il nome d'arte, Martinelli il cognome del marito, Ezio Martinelli, scalognato pittore italoamericano cornificato dalla moglie con estatica felicità. «Non sai in quanti vogliono venire a letto con me», scrive lei a Charles Bukowski, uno dei notevoli amanti (le lettere tra Sheri e Chinaski sono pubblicate in Beerspit Night and Cursing, 2001). Tutti desideravano Sheri, pittrice disinibita che cercava fama a New York, protetta da Anaïs Nin, idolatrata, tra gli altri, da Marlon Brando, William Gaddis e Rod Steiger, confidente di Charlie Parker. Sentì parlare di Pound, il poeta pazzo recluso al St. Elizabeths, da Allen Ginsberg: lo preferì a quell'orda di ammiratori, li dividevano 33 anni.
La vita sentimentale di Ez era piuttosto complicata. Nel 1914 sposa Dorothy Shakespear, per un periodo si accoppia con Hilda Doolittle (che non disdegnava i rapporti saffici e fu intima di D. H. Lawrence), poi incontra la violinista Olga Rudge, che diventa l'amata e da cui ha una figlia, Mary de Rachewiltz. In mezzo, ci si mette Marcella Spann, «giovane e ingenua insegnante di inglese, veniva da una minuscola cittadina del Texas» (John Tytell, Ezra Pound: The Solitary Volcano, 1987), che diventa la sua viziosa segretaria. Proprio lei offre a noi inguaribili guardoni uno squarcio sulla vita passionale di Pound. «Vedendo Sheri camminare nel parco, salta sulla sedia, corre a salutarla, la afferra con un energico abbraccio». È il 1952, sono gli anni più duri per Pound. «La Martinelli è l'unica persona che abbia incontrato che riesca a reggere una conversazione con me», scrive. Concetto che ribadisce in termini laconici a una fan londinese, Ingrid Davies, «La Martinelli è un atto di Dio». Lei, Sheri, all'amico Bukowski precisa in altro modo: «Sai, mi ha letto Dante, Villon, Guanzi, Ovidio & un mucchio di altre cose & mi ha sedotto mentre leggeva & con una mano mi toccava le tette & con l'altra sfogliava le Metamorfosi di Ovidio».
Sheri Martinelli, creatura fatua e fantomatica, era lì per Ezra Pound, lo scandalo vivente, grumo di livida cotenna antiamericana. E Pound, pervertito dalla sua bellezza, «assolutamente deliziato dalla Martinelli, e gioiosamente innamorato di lei per un po' di tempo» (A. David Moody in Ezra Pound: Poet. The Tragic Years 1939-1972, 2015), costringeva la moglie Dorothy a stipendiare le gite dell'amante: «quando andava a Washington per stare al fianco di Pound erano 35 dollari al mese per l'affitto dell'appartamento, una volta ne tirò fuori 200 per pagarle il trattamento dentale». L'amore per Sheri, questo c'importa, grava sui Cantos, il catastrofico capolavoro di Pound. «Sheri era un po' maga e strega... dobbiamo probabilmente alla sua salutare follia i canti più belli scritti da Pound in ospedale psichiatrico, 90-95, la seconda parte della sezione Rock-Drill», mi dice Bacigalupo. Proprio lì, in versi tellurici e dolcissimi, Pound eterna La Martinelli: «dal mucchio di rottami/ m'elevasti/ dall'ottuso limite al di là del dolore/ m'elevasti/ dall'Erebo profondo/ dal turbine sotto terra/ m'elevasti/ dall'aere morto e dalla polvere/ m'elevasti/ al grande volo/ m'elevasti». Il refrain m'elevasti, citato in italiano, si lega al Primo del Paradiso dantesco, quando il Poeta racconta il viaggio superceleste compiuto grazie alla benedizione di Beatrice. Con furore lirico Pound fa di Sheri la sua personalissima Beatrice.
Sheri custodì gelosamente i ricordi poundiani. Il primo novembre del 1972 viene visitata da «un vento cattivo, che annuncia la fine di qualcosa di sacro». Il giorno dopo, leggendo i giornali, scopre che Pound è morto. Fu la prima delle sue tante morti. Nel 1977 donò alla Beinecke, la biblioteca di Yale, il suo patrimonio di lettere, documenti, fotografie. Cercò di dimenticarsi. «Dimostra, nella pittura come nella ceramica, il prodigio che tento nella mia scrittura», scrisse di lei Pound. Archibald MacLeish, potentissimo intellettuale americano, più volte Premio Pulitzer, acquistava, tramite Ezra, le opere di Sheri: «Uno dei ricordi più vividi che ho di Pound al St. Elizabeths è la sua eccitazione mentre mi mostra alcune riproduzioni fotografiche dei lavori di una giovane artista, Sheri Martinelli». Sheri, la divina, morì il 3 novembre del 1996. Abitava in un camper.
Le piaceva sostare nel parcheggio dei supermercati; contemplava il traffico umano. Civiltà che vengono e vanno, umanità che passa da un gorgo infernale all'altro. I Cantos squadernati davanti al suo sguardo. Qualche mese prima, quello stesso anno, era morta Olga Rudge.
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