Prima si conosce il diverso, poi lo si abbraccia

Ho letto con grande piacere il libretto, appena pubblicato, che raccoglie alcuni interventi del sociologo francese Michel Wieviorka a un convegno milanese dello scorso anno, promosso dalla Casa della Carità e da Unidea.
Il libro porta lo stesso titolo del convegno, L'inquietudine delle differenze (Bruno Mondadori, pagg. 85, euro 9). Wieviorka, allievo di Touraine, oltre che uomo simpaticissimo è un fine studioso sempre attento agli scoscendimenti della realtà, e il suo sguardo alle diverse realtà sociali non tende mai a imporre schemi (almeno nelle opere che ho letto io), quanto piuttosto a illuminare la diversità all'interno dei singoli gruppi sociali studiati.
Spesso la sociologia presenta le sue osservazioni come scienza etsi Deus non esset. Wieviorka, viceversa, sospinge sempre la sua osservazione fin sulla soglia del mistero dell'individuo e dei dispositivi che ne rafforzano o ne indeboliscono la libertà di giudizio prima che di azione.
Quando parliamo di differenze, intendiamo non soltanto una molteplicità di fenomeni (legati sia a spinte interne, come i movimenti indipendentisti, sia esterne, come le numerose comunità straniere che vivono nei nostri Paesi), ma anche una molteplicità di livelli (ogni diversità è diversa dalle altre, e instaura rapporti col resto della società del tutto diversi), una molteplicità di bisogni (e quindi di politiche in risposta a quei bisogni) e, infine, una molteplicità di posizioni all’interno di una stessa comunità.
Accogliere le differenze non è un problema di sentimenti: spesso chi affronta il tema in termini di mera generosità si trova deluso e in difficoltà (i matrimoni misti non sono tutti rose e fiori), e la sua delusione alimenta il disagio che il primo impulso voleva superare.
Non si tratta solo di abbracciare il fratello diverso, ma anche di prevedere nei propri piani regolatori uno spazio per lui, per il suo tempio, per le sue intenzioni educative. E questo richiama la politica a una delle sue virtù più preziose e rare: la pazienza. Le domande sono cangianti, vanno esaminate una per volta, e le risposte non possono quasi mai essere normative.
Alla fine, il pallino della questione torna sempre alla responsabilità personale, che nessun modello può sostituire. È una responsabilità conoscitiva prima che etica o politica. «Le differenze sono inquietanti perché non le conosciamo. E meno le conosciamo, più ci appaiono inquietanti».
Un eccesso di ottimismo illuminista? Forse.

Ma, come diceva il cattolicissimo Chesterton in un suo meraviglioso racconto, The Honour of Israel Gow, è bene non moltiplicare inutilmente i misteri. Noi trattiamo il problema delle differenze a seconda di come impostiamo il problema della conoscenza.

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