Siamo tutti «belve umane» con la voglia di riscattarsi

Qui al Giornale abbiamo un collega bravo e competente, ma piuttosto incline alla depressione e al mugugno. Quando vogliamo tirarlo un po’ su, gli chiediamo: «com’era la storia di Filini?». Allora lui squaderna un sorriso a 32 denti, stende in alto le braccia da piovra, inarca la schiena come un gatto pronto a fare le fusa e racconta, per l’ennesima volta, in che modo si guadagnò la stima di Paolo Villaggio. Il succo della narrazione è questo: a precisa domanda del suo idolo, rispose «Renzo». Cioè il nome di battesimo di Filini, prediletto compagno di disavventure del ragionier Fantozzi Ugo. «Al mondo saranno in dieci a sapere che Filini si chiama Renzo», aggiunge, estatico. Poi si cambia discorso e il collega torna a macerarsi fra una telefonata e un titolo.
Paolo Villaggio è questo, ciò che nell’antica Grecia si chiamava un topos. Un luogo, una chiave di lettura del mondo. E se Fantozzi fosse nato femmina ci sarebbe persino il parallelismo tra Fantozzi-Eva e Fracchia-Lilith. Perché Fracchia, come Lilith rispetto a Eva, nacque prima. E, così come Lilith rifiutò di giacere con Adamo, obbligando il Signore a creare Eva per far andare avanti la baracca, così Fracchia venne sostituito, nell’immaginario collettivo degli anni ’70-80, da Fantozzi.
Insomma, comunque la si metta, fra cent’anni Villaggio non sarà ricordato come l’Arpagone dell’Avaro di Molière, né per i ruoli cechoviani o pirandelliani, e nemmeno per le esperienze politiche (fantozziane) con i radicali e Democrazia proletaria. No, lui resterà nei libri di storia come l’uomo del «facci lei», del giudizio epocale e rivoluzionario sulla Corazzata Potëmkin, quella «cagata pazzesca» che suona fra l’altro come sdoganamento della critica cinematografica non militante, del «mi si sono intrecciati i diti», della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, della poltrona sacco in cui sprofonda la dignità dell’impiegato qualunque. La vena gogoliana di cui va giustamente fiero (che cos’è il suo universo fatto di meschinerie, invidie, rancori, catastrofi, se non una rivisitazione delle Anime morte, o almeno prepensionate?) ha imbevuto il terreno della nostra società, l’ha fertilizzato con il nobile letame spalato negli uffici di tutta Italia, quel letame dal quale, come cantava il suo amico Faber, «nascono i fior».
Ieri la Mostra del cinema di Venezia ha celebrato tutto ciò. Grazie a Villaggio il cinema è sceso dal tappeto rosso delle grandi occasioni e s’è pulito le scarpe sullo zerbino della quotidianità. Lui ha ricambiato l’omaggio della retrospettiva «La situazione comica» con alcune battute da pianerottolo sui «tacchi mascherati» di Berlusconi e su «Casini e Di Pietro sempre incazzati», prendendosela anche con i «sinistresi» ormai impadronitisi dell’ambaradan in Laguna: «è una rottura da quando l’hanno presa in mano loro, e lo dice uno che è stato militante, più a sinistra del partito comunista cinese».
Tutto sommato, robetta, che non ha fatto passare in secondo piano il motivo per cui si era lì. Per incontrare una vecchia conoscenza, Fracchia, venuto al mondo, secondo l’anagrafe di mamma Rai, nel ’68, tre anni prima di Fantozzi, in Quelli della domenica. Marco Giusti ha scelto quel Fracchia la belva umana dell’81 diretto da Neri Parenti che, con Fracchia contro Dracula (’85), compone la scarna filmografia del fratello maggiore di Fantocci. Qui l’impiegato di un’industria dolciaria è il dottor Jekyll che prova tutta l’amarezza d’essere scambiato per il suo «doppio» e sosia signor Hyde, il terribile criminale detto appunto «Belva Umana». Ma i guai generano la rivolta, la consapevolezza e l’orgoglio, da parte del vero Fracchia, di potersi riscattare indossando i panni del cattivo.
Ed è proprio questa la cifra dell’intera filosofia villaggiana, che va oltre la macchina perfetta in cui la situazione comica scatta grazie al cinismo dello spettatore: soltanto il male fa ridere, soltanto il fallimento genera il successo.

Villaggio non è Totò o Charlot, artisti che seppero impersonare il piacere della bontà. Villaggio è uno di noi, uno normale. Per questo ha potuto dire, tempo fa, alla Victoria Cabello di Victor Victoria, «lei è cattiva perché ha le labbra sottili». La sventurata rispose. Con una risata.

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