Simenon e l’odissea di un uomo da marciapiede

Agosto 1937, Hôtel Verbano dell’Isola dei Pescatori. Fra gli ospiti più o meno illustri in vacanza sul Lago Maggiore c’è un 34enne che si è già fatto un nome nel mondo delle lettere francesi. Osservando con occhio indagatore i clienti del lussuoso albergo, forse è attratto da una coppia improbabile: la tardona in carne che fa gli occhi dolci al giovane gigolò. Nasce così Corte d’assise, romanzo rimasto finora inedito in Italia e che Adelphi ci propone in questi giorni (pagg. 180, euro 18, traduzione di Massimo Romano e Alberto Mittone).
Georges Simenon lavorava così. Gli bastava poco, per mettere in moto la sua macchina narrativa: l’impercettibile linea d’ombra che separa e insieme lega, come un segno del destino, le persone meritevoli di diventare personaggi, era sufficiente a scatenarne l’estro. Quella ricca cicciona, per esempio, e quel bel ragazzo dai tratti mediterranei... starebbero bene in Costa Azzurra, magari nell’atmosfera sonnacchiosa e assolata di Le Levandou... Lei, Constance Ropiquet, si fa chiamare contessa d’Orval, ma della contessa ha soltanto il conto in banca. Lui, Louis Bert, è per tutti (compresa la polizia locale) Petit Louis: un bullo, un delinquentello, un mantenuto. L’aria di festa del 14 luglio avvolge ancora la spiaggia, i bar, le strade. È il momento buono per fare un colpo all’ufficio postale, rimpolpato dai depositi dei numerosi turisti. L’hanno preparato in ogni dettaglio, Gène e gli altri marsigliesi, arruolando Petit Louis per un ruolo a metà fra il palo e il diversivo: deve attirare su di sé l’attenzione della gente mentre la banda opera indisturbata.
Sarebbe un lavoretto semplice e pulito se, una volta agganciata Constance e i suoi franchi, il vanesio e inconcludente avventuriero non si lasciasse sfuggire, nell’intimità accettata come corrispettivo da pagare per ottenere in cambio un elevato tenore di vita, qualche parola di troppo a proposito di un certo bottino. E quando, a Nizza, l’ardito ménage à trois con Louise, la fidanzata-prostituta da anni legata a Petit Louis e da lui fatta passare per sua sorella, diventa insostenibile, la fine dell’estate viene annunciata da una tempesta che sconvolge la trama e la trasforma, da commedia degli equivoci, in autentico noir. È proprio l’incauto gigolò, infatti, a scoprire il cadavere della povera vecchia nel suo appartamento. Chi se non Gène, pensa lui, può essere il colpevole? Chi se non l’amante a pagamento, pensano invece tutti gli altri, può aver voluto tappare la bocca alla gallina dalle uova d’oro, ovviamente scappando con le uova?
«Non poteva sapere che ormai i suoi atti non avevano più importanza, che aveva avuto una sorta di proroga, e che il destino, troppo occupato altrove, per un po’ lo dimenticava, lasciandogli la briglia sul collo, sicuro di ritrovarlo». Un macabro e soprattutto assurdo particolare (che tralasciamo a tutela del lettore) legherà mani e piedi il malriposto orgoglio di Bert il quale, piuttosto che presentarsi alle forze dell’ordine in qualità di testimone, preferisce, una volta arrestato, affrontare un giudizio che in buona parte non merita.

E il procedimento in corte d’assise, fra il cinismo dei giornalisti e del pubblico, servirà soltanto a certificare una sentenza ormai scritta con largo anticipo.
Simenon si conferma magistrale nello scandire à rebours, contro la corrente del tempo, le tappe di questa dissoluzione che eleva al ruolo di eroe tragico un piccolo uomo da marciapiede.

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