Ci fu davvero la trattativa tra Stato e mafia nell’estate del ’92, l’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio? E come si collocanel quadro dellapresunta la mancata conferma del regime di carcere duro per numerosi boss messa in atto nel ’93 dal governo di centrosinistra? Il mistero che avvolge ancora quei terribili anni è oggetto di un’indagine della procura di Palermo. Qui pubblichiamo ampi stralci sul tema tratti da «La mafia uccide d’estate» (Mondadori), il libro del segretario Pdl ed ex Guardasigilli Angelino Alfano. Il capitolo s’intitola, significativamente, «Chi ha trattato con chi?».
Il 1992 fu l’anno delle stragi. La magistratura sta indagando per accertare se il 1992 fu anche l’anno della «trattativa» tra Stato e mafia (...). Poiché tutto è al vaglio della magistratura, a me non è concesso far altro che mettere insieme i tasselli di un puzzle composto solo da documenti ufficiali(...) Sono quattro gli episodi fondamentali della vicenda, che vorrei richiamare qui (...).
Primo episodio. La notte del 20 luglio 1992, all’indomani della strage di via D’Amelio, il ministro della Giustizia Claudio Martelli firmò il primo blocco di 369 provvedimenti di applicazione del regime 41 bis nei confronti di appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso. Gli stessi detenuti venivano tempestivamente trasferiti nelle isole di Pianosa e Asinara. La strage di Capaci aveva già prodotto la decisione di riaprire le due carceri di massima sicurezza ed erano in corso lavori di ristrutturazione. Martelli decise di accelerare e di aprire quella notte stessa. Nel corso del 1992 il ministro firmò complessivamente 510 provvedimenti (...) dell’iniziale durata di un anno.
Secondo episodio. Il 15 settembre 1992 lo stesso ministro adottò un atto con il quale delegava il capo e il vicecapo del Dap a emettere direttamente provvedimenti di applicazione del regime 41 bis (...) Questi ultimi due sono titolati a emettere provvedimenti cosiddetti delegati che prevedono l’adozione di un regime lievemente attenuato (...) da scontarsi presso alcune carceri indicate all’interno di un elenco tassativo di sedi penitenziarie, dalle quali erano escluse le isole di Pianosa e Asinara (...). A (...) partire dal 1° novembre 1992, nell’arco di tre mesi venivano complessivamente emessi a firma del vicecapo del Dap ulteriori 574 provvedimenti delegati della durata di un anno.
Terzo episodio. Il 15 maggio 1993, 127 di quei provvedimenti delegati (...) venivano revocati dall’Amministrazione penitenziaria, perché adottati in assenza dei presupposti normativi (...). Non si trattava di mafiosi. Successivamente, a partire dal novembre 1993, venivano fatti scadere ulteriori 334 provvedimenti 41 bis delegati, a carico di altrettanti esponenti mafiosi. E che mafiosi! Tra loro figuravano i nomi di importanti boss fra i quali si segnalano: Vito Vitale, Diego Di Trapani, Vincenzo Buccafusca, Giuseppe Sarno, Domenico Farinella, Antonino Geraci, Antonio Capriati, Giosuè Chindamo, Michele Facchineri. A buona parte di essi il 41 bis fu successivamente riapplicato, e alcuni vi sono tuttora da anni ininterrottamente sottoposti, tanto che io stesso ho prorogato il regime speciale per alcuni di loro. Sintesi: tra annullamenti della sorveglianza, revoche d’ufficio e scadenza senza proroghe vennero meno, così, tutti i provvedimenti 41 bis delegati per un totale di 574 detenuti.
Quarto episodio. I provvedimenti emessi direttamente dal ministro Martelli, a partire dalla prima scadenza del luglio 1993, vennero invece in blocco rinnovati, salvo gli annullamenti e le revoche per i collaboratori di giustizia. Nel 1993 il presidente del Consiglio era Carlo Azeglio Ciampi, il ministro della Giustizia era Giovanni Conso, la maggioranza che sosteneva il governo era di centrosinistra.
I punti deboli dell'articolo
(...) L’iniziale applicazione del 41 bis venne accompagnata dalla riapertura degli istituti di detenzione presenti nelle isole di Pianosa e Asinara, già in precedenza destinati a ospitare mafiosi e terroristi. Tale decisione (...) determinò in un primo tempo un forte impatto sulle organizzazioni criminali mafiose. Essa tuttavia non solo riguardò una parte minoritaria e quasi marginale di detenuti - circa 200 sui mille che nel primo anno di applicazione furono complessivamente assoggettati al regime speciale - ma venne ben presto facilmente elusa da tutti i capi ed esponenti di spicco di Cosa Nostra (...) Per facilitare lo svolgimento dei processi che li riguardavano, i boss mafiosi infatti non solo venivano assegnati a istituti penitenziari vicini ai luoghi di radicamento delle organizzazioni mafiose da loro governate, ma per lungo tempo permanevano nelle aule giudiziarie, in condizione di generale commistione e con l’effetto di vanificare in modo pressoché totale gli effetti del 41 bis.(...). Su quest’ultima vicenda (...) i conti non mi sono mai tornati. Una legge dello Stato prevedeva, infatti, che dal gennaio 1998 i mafiosi partecipassero ai processi in videoconferenza, senza lasciare il luogo di detenzione. Ma Pianosa e Asinara erano state chiuse per decreto (...) il 31 dicembre 1997 (...) E così è stato possibile accertare che in concreto nessuno dei capi di Cosa Nostra - Totò Riina, Leoluca Bagarella, Benedetto Santapaola, Antonino Madonia - (...) ha trascorso periodi di detenzione ininterrotta superiori a un anno. Ma l’utilizzo delle isole di Pianosa e Asinara per fini penitenziari (...) venne del tutto vietato, addirittura con legge dello Stato adottata con decretazione d’urgenza, alla fine del 1997. (...
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