Siria, il sangue non basta a smuovere le cancellerie Ci sono troppe incognite

Nello scontro sanguinoso nessuno dal di fuori è disposto a intromettersi. Anche perché la Siria non ha acqua (viene tutta dalla Turchia) e pochissimo petrolio...

Siria, il sangue non basta 
a smuovere le cancellerie 
Ci sono troppe incognite

Nel 1830 il ministro della guerra francese Sebastiani commentò la repressione russa della rivolta polacca con una frase rimasta famosa: «L’ordine - disse - regna a Varsavia». A distanza di quasi un secolo e mezzo molti politici vorrebbero poter dire la stessa cosa a proposito della rivolta in Siria che ha già fatto più vittime in quel paese che le guerre con Israele. Infatti esse temono (come fu il caso dell’America nella prima guerra d’Irak nel 1991) che il costo di un possibile smembramento dello stato siriano (paese di 18 milioni ma mosaico di identità religiose e etniche) sia maggiore del costo di una sanguinosa repressione.

Lo si è visto al Consiglio di Sicurezza lunedì dove nonostante l’apparente sostegno alle sanzioni da parte della Russia (tradizionale fornitrice di armi a Damasco) non si è deciso nulla. Lo si percepisce dai tentennamenti turchi preoccupati dal possibile caos lungo le loro frontiere meridionali. Lo si interpreta dal silenzio di Israele preoccupato, per simili ragioni per la sua frontiera settentrionale che il regime di Damasco, pur rifiutando la pace e armando gli Hezbollah nel libano, ha mantenuta calma per oltre trenta anni. Lo si vede del fragoroso silenzio della Lega araba che nella Siria ha sempre onorato il fulcro storico, ideologico e politico della (inesistente) unità araba.

La reazione violenta del presidente Assad alla rivolta continuerà anche se in forma meno crudele di quella del padre che si vantò nel 1982 di aver creato a Hamma il più ampio parcheggio di automobili del paese sulle rovine della città e sui corpi di 22 mila rivoltosi sino a che il regime godrà dell’appoggio dei militari. Che è un appoggio dovuto a una congiunzione di lealtà etnica-religiosa e paura. Quella di perdere oltre ai privilegi del potere la vita stessa. Gli alawiti denominati anche nusseiris rappresentano il 12% della popolazione. Sono una minoranza legata a un culto segreto di origine islamica sciita considerata eretica tanto dai sunniti quanto dagli sciiti (per il suo credo in una Trinità formata da Maometto, Ali suo successore martirizzato e Salam al Farisi l’unico Compagno persiano del Profeta). Emarginata sin dall’epoca ottomana, impoverita e oppressa specie nella zona di residenza montagnosa di Latakia, venne utilizzata dai francesi, al tempo del loro mandato sul Levante per formare truppe speciali allo scopo di combattere il nazionalismo arabo. Il che li rese ancora più odiati dal resto della popolazione. Molti alawiti , educati nelle scuole militari di Parigi, al momento dell’indipendenza della Siria occuparono i posti chiave del potere (col colpo di stato del 1963 che portò il partito Baath e il generale Hafez el Assad al potere). In questo momento ci sono voci di rottura fra le dirigenze del regime e la classe imprenditoriale (in maggioranza sunnita). Sarebbe un cambiamento importante. Ma non basterà ad abbattere il regime.

La «pace» tornerà a Damasco solo se i Fratelli musulmani (che non dimenticano la strage di Hamma) e le altre correnti rivoluzionarie garantiranno alla dirigenza militare e politica alawita la sopravvivenza fisica in caso di vittoria della rivoluzione. Il che non sarà facile realizzare.

Nel frattempo il clan degli Assad e la dirigenza militare e politica si batte non per salvare un regime ormai screditato ma per salvare la propria vita. In questo scontro sanguinoso nessuno dal di fuori è disposto (al contrario della Libia) a intromettersi. Anche perché la Siria non ha acqua (viene tutta dalla Turchia) e pochissimo petrolio.

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