Sme, scaricabarile tra giudici dopo lo schiaffo della Cassazione

I pm milanesi replicano alle critiche dell’ex presidente Marvulli: «Fa un errore grossolano»

Stefano Zurlo

da Milano

Sorpresa. Sarcasmo. E, infine, il più classico dei giochi: quello del cerino. La caccia ai responsabili della grande frana è già cominciata: come mai il processo Sme e le condanne a Previti, Squillante e Pacifico sono venute giù in un amen? Di chi è la colpa? I magistrati milanesi avevano sempre sostenuto senza mai farsi sfiorare dal dubbio la competenza del diritto di rito ambrosiano. Invano, gli avvocati avevano ripetuto fino alla noia lo stesso ritornello: presunti corrotti e corruttori si muovevano nel perimetro della giustizia romana. La Procura, il Gip, il tribunale, la Corte d’appello e la Procura generale avevano sempre orientato l’ago della bussola verso nord e buttato nel cestino l’ipotesi Perugia.
Ora la Cassazione sale in cattedra: errore su errore ci si è incamminati in una direzione sbagliata. E così si sono persi undici anni. Dunque, si va a Perugia, anche se ormai il tempo è quasi scaduto e la saga Sme è destinata alla prescrizione. Proprio dalla Cassazione arriva una bordata durissima contro le toghe milanesi. A dare fuoco alle polveri, in un’intervista concessa al Corriere della Sera, è Nicola Marvulli, fino a un mese fa Presidente della Cassazione e ora pensionato. Nel 2003 Marvulli era alla testa del collegio delle sezioni unite che respinse la richiesta di spostare il processo da Milano a Brescia in base alla legge Cirami. Ma non è questo il punto che preoccupa Marvulli. L’ex numero uno della Suprema corte affronta invece il tema della competenza, allora laterale e oggi decisivo: «Era evidente che non potessero essere i colleghi del tribunale di Milano a emettere la sentenza. Si contestava una corruzione avvenuta a Roma e il presunto corrotto era un magistrato che lavorava negli uffici giudiziari della capitale. La competenza di Perugia era pacifica e infatti ci aspettavamo che dopo il deposito delle nostre motivazioni si sarebbe provveduto». Invece, il tribunale andò dritto come un treno e la Corte d’appello proseguì sullo stesso binario. Così ora Marvulli deposita il suo personalissimo verdetto: «I magistrati di Milano hanno sbagliato. La loro ostinazione ha causato questo smacco per la giustizia. Tutto questo si sarebbe potuto evitare».
I magistrati milanesi, ufficialmente, tacciono. E non replicano alle critiche e nemmeno alle dietrologie che, come sempre, mescolano in modo perfido tecnica e politica, diritto e ideologia. Si chiude nel silenzio Luisa Ponti, presidente del tribunale, sulla stessa trincea Erminia La Bruna, presidente del dibattimento d’appello. Dietro le quinte, però, la lettura di Marvulli viene rispedita al mittente. Prima con un ragionamento tecnico e poi con uno più pratico. «Non è che si possa individuare la competenza dal fatto che gli imputati erano romani - affermano a Palazzo di giustizia -: un conto è la cornice della vicenda, altra storia è capire dove avvenne il reato, impresa difficilissima per le tangenti Sme. In mancanza di meglio, si utilizzarono a cascata altri criteri, quello della residenza degli indagati e poi quello della prima iscrizione nel registro degli indagati, rispettando scrupolosamente le indicazioni del codice. Marvulli si confonde e confonde, in modo grossolano».
Discorso chiuso? No, perché a Palazzo di giustizia qualcuno fa notare che Marvulli con questa mossa ha voluto prendere le difese di una Cassazione nel mirino di molti magistrati, commentatori e operatori del diritto. «La Cassazione - ha spiegato Gerardo D’Ambrosio, coordinatore del Pool Mani pulite negli anni Novanta e oggi senatore dei Ds - si è comportata come Ponzio Pilato. Rinviando tutto a Perugia è come se avesse detto “non ti posso assolvere, ma ti do la possibilità di uscirne fuori con la prescrizione”».
Dunque, il partito della Cassazione contro la magistratura milanese. Riaffiorano ruggini e vecchi rancori. Si disegnano scenari paradossali. Il 18 dicembre inizia a Milano il nuovo processo d’appello per il Lodo Mondadori. Questa volta, la Cassazione ha deciso in tutt’altro modo: il dibattimento si svolgerà a Milano, come è stato per i precedenti gradi di giudizio e come è stato per l’Imi-Sir, su cui la Suprema corte ha apposto il sigillo condannando in via definitiva gli imputati. Certo, in teoria si tratta di storie diverse, ma il copione è assai simile.

«Siamo al punto - commenta Alessandro Sammarco, difensore di Cesare Previti - che traslocheremo a Perugia per Sme, il processo base, ma si andrà avanti a Milano per il Lodo che è nato da una costola di Sme».
Un rompicapo. Che troverà una qualche spiegazione quando i giudici della sesta sezione pubblicheranno le motivazioni della sentenza. Ma non saranno quelle pagine a spegnere il fuoco delle polemiche.

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