Sono diventato un automa per non soffrire mai più La mia vita è solo inganno

da Londra

Le lettere, così come i diari, ci consegnano la vita come viene vissuta, giorno per giorno, contingente, imperfetta, autentica. In questa assenza di pianificazione sta il loro valore. Così è per l’epistolario di T.S. Eliot (1888-1965), preso di mira da critici a caccia di prove del suo antisemitismo e della sua misoginia. Il secondo volume, appena uscito in Inghilterra e già diventato un «caso» editoriale, The Letters of T.S. Eliot, 1923-25 (Faber&Faber, pagg. 878, sterline 35; a cura di Valerie Eliot e Hugh Haughton), demolisce il mito della crudeltà dello scrittore nei confronti della prima moglie Vivien, cronicamente malata di nervi: «Sono sfinito, non posso più andare avanti», scrive nel 1923, in una delle tante lettere cariche di sensi di colpa inviate al critico John Middleton Murry, «un senso di colpa sottile, che mi paralizza e mi uccide». Ma al contrario riaccende il dibattito sul suo antisemitismo, esacerbato dal ricordo del libro di Anthony Julius T.S. Eliot: Anti-Semitism and Literary Form, del 1995, che montava un vigoroso processo intorno a quella che definiva la macchia razzista di tutta l’opera dello scrittore. «Negare l’antisemitsmo nell’opera di Eliot – commenta oggi Julius impugnando nuovamente il suo libro - non è intellettualmente né moralmente rispettabile, benché molti critici rispettabili lo facciano».
Alcune lettere confermano il «pregiudizio razziale» di Eliot, come quella scritta al critico Herbert Read nel 1925, in cui lo scrittore allude all’«istinto distruttivo di quella gente», dichiarandosi convinto che sia la loro «invidia razziale a predisporli al bolscevismo, in una forma o nell’altra (non sempre politica)». In una lettera al suo mecenate americano John Quinn, scrive poi di averne abbastanza di lavorare con editori ebrei. Del resto, l’antisemitismo era una costante della famiglia di Eliot. La madre ribadisce in una lettera scritta al figlio di nutrire «un’istintiva antipatia per gli ebrei, come per certi animali», aggiungendo che anche al padre di Eliot «non era mai piaciuto avere a che fare con loro».
Le nuove lettere offrono il ritratto di un uomo complesso e contraddittorio, profondamente tormentato durante tre anni cruciali della sua esistenza, dal 1922 al 1925; quando la crisi domestica, la difficoltà di conciliare il necessario impiego alla Lloyds Bank con la sua prepotente vocazione letteraria, la direzione della più ambiziosa rivista letteraria del suo tempo, costringono lo scrittore a elaborare diverse strategie di travestimento per sopravvivere alla disperazione. È celebre la definizione del critico Victor Sawdon Pritchett che definiva Eliot «una compagnia di attori in un unico vestito». In queste pagine la compagnia è tutta in scena.
Il primo volume dell’epistolario copriva gli anni dal 1914 al 1922 e terminava con la stesura de La terra desolata. Il secondo volume quelli del suo avvicinamento all’anglo-cattolicesimo, del consolidamento della sua autorità di critico, del passaggio dalla «schiavitù» del lavoro bancario al lavoro editoriale nella nascente Faber&Gwyer. In questi anni di lotta privata, Eliot combatte anche una battaglia nel clima culturale dell’Inghilterra postbellica. Gran parte di queste lettere documentano la fondazione e i primi anni di The Criterion, la rivista impostata su posizioni classiciste da Eliot e finanziata dalla viscontessa Rothermere, moglie del proprietario del Daily Mail. Lavorando in banca di giorno, occupandosi della moglie, il lavoro per la rivista slittava dopo le otto di sera. Era però un lavoro brillante, un misto di impegno intellettuale del più alto livello, di pragmatismo e diplomazia che presto trasformò la rivista in un’istituzione culturale della massima influenza sull’«intero clima di opinione» degli anni Venti e Trenta in Inghilterra, come avrebbe sottolineato W.H. Auden.
Eliot era per sua definizione un «reazionario ultraconservatore». Nel 1923 scrive al Daily Mail una lettera in cui esaltava la rivoluzione fascista in Italia. Disapprovando la democrazia che associava al sentimentalismo e al romanticismo, Eliot mirava a un pubblico di élite, evitando a ogni costo di stampare un periodico «popolare». Al Criterion contribuirono i maggiori scrittori modernisti, da Joyce a Pound, Wyndham Lewis e Lawrence, Proust e Cavafy... Nel suo stile lapidario Eliot asseriva che mentre «la buona poesia ha bisogno di almeno cinque anni per essere apprezzata, la buona critica viene apprezzata subito. Il pubblico colto preferisce l’opera critica a quella creativa».
Eliot è stato accusato di crudeltà nei riguardi della moglie, di averla alla fine fatta ingiustamente ricoverare in un istituto per malati di mente. Ma la preoccupazione per Viv è il leitmotiv di tutto l’epistolario. Quando Vivien minaccia il suicidio, Eliot si assume ogni colpa. Scrive a Virginia Woolf, nel marzo 1925: «La vita è semplicemente un orrore, di minuto in minuto».

Virginia Woolf nel suo lucido snobismo non amava Vivien, scriveva che le dava il voltastomaco, «così profumata e incipriata, così egocentrica, così malaticcia». In questi anni di «orrore», sull’orlo del crollo, Eliot scrive Gli uomini vuoti, lucida diagnosi di una crisi generale in un’epoca di vuoto spirituale. Lo stesso messaggio delle lettere.

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