Sorpasso cinese: l’Italia non è più la sesta potenza

Pechino rivede i dati del Pil 2004, pari a 1.971 miliardi di dollari, e si prepara a superare anche Parigi e Londra

Rodolfo Parietti

da Milano

Più che il grande balzo in avanti vagheggiato dal comandante Mao, ha funzionato la formula del socialismo di libero mercato, ideale prosecuzione della politica della porta aperta adottata nel 1978. Ventisette anni dopo, la Cina raccoglie i frutti di quel cambiamento. E il sorpasso, da tempo nell’aria, è ora cosa fatta: l’Italia non è più la sesta potenza economica mondiale. Scalzata dai formidabili tassi di sviluppo dell’ex Impero Celeste, il Belpaese scivola di una posizione e anticipa ciò che toccherà presto in sorte anche alla Francia (ora al quarto posto) e alla Gran Bretagna (quinta), prossime vittime del dragone cinese.
A sancire lo scatto in avanti della Cina è stato ieri notte l’Ufficio centrale di statistica attraverso la revisione al rialzo del Pil 2004, pari a 1.971 miliardi di dollari. Un risultato ottenuto grazie a una crescita del 16,8% rispetto all’anno prima, tale da far apparire lento perfino il ritmo tenuto da un’economia vitale come quella statunitense. Pechino continua a volare, e al tempo stesso lascia intravedere la radicale metamorfosi del proprio tessuto economico attraverso la sconcertante rapidità del processo di terziarizzazione. Il peso dei servizi sul Pil, seppur non ancora prevalente, sta infatti continuamente crescendo: ora è pari al 40,7%, con un balzo di quasi nove punti percentuali realizzato nell’arco di un solo anno. Insomma: il Paese orientale sta consolidando le proprie basi, in risposta a quanti imputavano a Pechino una crescita drogata dagli investimenti pubblici in assenza (o quasi) della stampella dei consumi interni.
In realtà, il governo cinese sta da tempo canalizzando i flussi di investimento verso molte zone rurali, ovvero le aree più povere rimaste finora tagliate fuori dal boom a due cifre, e sta riducendo i sussidi statali alle imprese. Si tratta di un riequilibrio necessario per due ordini di motivi. Da un lato, stempera le eventuali tensioni sociali provenienti dalle campagne e dalle province; dall’altro, si pone il traguardo di evitare un eccesso di offerta rispetto alla domanda che rischierebbe di far piombare il Paese nella deflazione, con conseguenze dolorose sulla capacità reddituale delle imprese.
A giudicare dai risultati ottenuti nel 2004, ben riassunti dalle dimensioni raggiunte dal Pil, la Cina ha centrato i propri obiettivi e sembra ora poter presentare un volto più maturo alla comunità internazionale. In pratica, secondo alcuni economisti, ciò si traduce in una maggiore probabilità di subire meno pressioni per la rivalutazione dello yuan. Una manovra invocata soprattutto dagli Usa non solo per rendere meno competitivi i prodotti made in China, ma anche allo scopo di incentivare consumi e servizi cinesi.
Le misure messe in campo per evitare il surriscaldamento dell’economia dovrebbero portare il Pil 2005 a crescere “solo” del 9%, ma non dovrebbero impedire alla Cina di superare Francia e Gran Bretagna nella classifica delle principali potenze economiche mondiali. «Lo scarto è molto ridotto», ha detto il direttore dell’Ufficio di statistica. Pechino si ritroverebbe così proiettata al quarto posto, alle spalle di Usa, Giappone e Germania.

Più di un analista, considerate le difficoltà a quantificarne con esattezza la ricchezza prodotta, colloca tuttavia la Cina già in seconda posizione. I nuovi calcoli sull’ammontare del Pil, uniti al lavoro di censimento intrapreso, hanno d’altra parte come obiettivo l’individuazione del forte sommerso e di combattere, almeno in parte, l’evasione fiscale.

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