Pensare innovativo è anche una tazzina di caffè. Marco Lavazza lo racconta con orgoglio, celebrando il legame dell'azienda torinese con il tennis: «Per noi è questione di orgoglio: abbiamo cominciato con Wimbledon, dando un contributo tutto italiano di convivialità in un posto così tradizionalista. E dopo aver collaborato con tutti i tornei dello Slam e con grandi star come Agassi e ora Sinner, adesso abbiamo portato le Atp Finals a casa nostra. La nostra passione ha vinto». Torino insomma, capitale di una bevanda diventata simbolo di sostenibilità e progresso, così come Lavazza la concepisce dopo 127 anni di storia: «Per noi l'ossessione per la qualità della materia prima del prodotto in tazza è un dogma. Tutti i progetti che vengono presentati possono essere meravigliosi, ma dietro ci deve essere qualità e credibilità nei confronti dei consumatori».
Cos'è la sostenibilità, dunque?
«All'inizio la sostenibilità veniva intesa come prodotti non plus ultra. Per noi è stato il contrario fin da subito: altissimo valore del prodotto coniugato ad altissima qualità ingegneristica per riuscire a trovare soluzioni a problemi molto complicati».
Una vera sfida quotidiana.
«È quello che ci porta avanti: continuiamo a investire non solo personalmente, ma collaborando con università e con altre aziende. Non finirà mai il nostro investimento e la voglia di poter dare a tutte le persone che ci seguono nel mondo esattamente quello che chiedono».
Qual è il percorso?
«Biisogna fare attenzione a non sbagliare. Ci sono due concetti importanti: innanzitutto si deve perseguire la sostenibilità economica, e in questo Lavazza è sempre stata attenta. In secondo luogo la sostenibilità ambientale, come detto, deve essere coniugata con la grandissima qualità del prodotto».
Cos'è cambiato negli ultimi anni?
«La grande attenzione del consumatore. Sempre più evoluta e che ti studia per capire se quello che dici è vero. Cito il progetto Tierra!: aver creato un prodotto tangibile porta il cliente a chiudere con noi il cerchio di un processo partito di Torino, andato a 15mila km di distanza tornato indietro. Con qualcosa che puoi comprare».
Cosa fa Lavazza per l'innovazione?
«Abbiamo macchine fatte di con materiale riciclabile, capsule compostabili, partendo sempre dal presupposto che il design è un elemento importante. Con tecnologie che arrivano anche da aziende partner, perché è essenziale trovare tutto quello che esiste nel campo della sostenibilità e del progresso».
Progetti per il futuro?
«Prima mi lasci dire che si è sempre pensato che il consumatore anglosassone sia stato sempre più attento ai temi ecologici, ma pochi sanno che invece l'Italia è ai primi posti nel riciclo della plastica».
Quindi punterete sul packaging.
«Nel 2025 puntiamo ad avere solo confezioni compostabili.
Lavazza è partita dalle lattine per proteggere il prodotto e consegnarlo salubre, ora stiamo studiando per arrivare a un tipo di carta che isola il caffè da ossigeno e sole. È un progetto a cui stiamo lavorando, e nonostante una legislazione non chiara, troveremo la soluzione. Come sempre».
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