"007 - No time to die", il lungo addio di James Bond

Il congedo di Daniel Craig coniuga, pur con qualche sbavatura, stile classico e riferimenti al mondo contemporaneo, e sottolinea come l’amore si leghi al significato etimologico del termine sacrificio.

"007 - No time to die", il lungo addio di James Bond

Che i film di 007 piacciano o meno, che siate soliti andare al cinema in questo periodo o no, poco importa. Detto scherzando, ma con un fondo di verità, esistono dei tassativi nella vita di uno spettatore e vanno onorati. James Bond, del resto, con i suoi venticinque film, ha attraversato sessant’anni di costume, ora dettandolo, ora reinterpretandolo, e forgiato una quantità inestimabile di icone, femminili e non. Perciò un titolo come "007 – No time to die", in quanto spartiacque definitivo di questo filone leggendario, va visto.

Che nulla sarà più come prima lo si sa ancora prima di sedersi in sala perché, come noto, Daniel Craig, dopo cinque film, alcuni riusciti e altri meno, lascia i panni dell’affascinante agente segreto britannico.

Quanto alla trama, evitare ogni possibile spoiler è d’obbligo, perciò ci si limiti a dire che nell’incipit ritroviamo Bond dopo aver lasciato il servizio attivo e intento a godersi una vita tranquilla. Un tentativo di farsi da parte e ritrovare la normalità che, è presto chiaro, sarà destinato a fallire.

Prima dei titoli di testa, scanditi dalla bella canzone di Billie Eilis, veniamo portati a spasso per Matera, finanche al cimitero dove, su suggerimento della consorte Madeleine (Lea Seydoux), Bond chiude per sempre col passato innanzi alla tomba dell’amata Vesper. Qui, però, l’uomo scopre, a sue spese, che qualcuno lo vuole ancora morto e che forse chi più gli è vicino lo ha tradito. Fine del prologo e inizio della matassa di intrighi in cui a spalleggiare il protagonista saranno i compagni d’avventura di sempre: Felix Leiter, Moneypenny e Q. Stavolta però Bond potrà contare anche su un nuovo agente con licenza di uccidere, il cui identikit sembra un omaggio a Metoo e blacklivesmatter.

Nonostante la lunga durata, la narrazione non approfondisce le ragioni e ambizioni che rendono tale il villain, un Rami Malek sottotono che però non è l’anello debole del cast. Tale titolo è appannaggio di Ralph Fiennes, letteralmente impalpabile nei panni di M, il direttore responsabile dei servizi segreti britannici. Basta un quadro intravisto con dentro raffigurata Judy Dench, prima di lui nello stesso ruolo, per ricordare cosa sia il carisma.

Per due ore e quarantacinque minuti assistiamo a una sorta di lungo addio cui non mancano charme, sequenze adrenaliniche e riferimenti a titoli precedenti. Tra esplosioni e corse in auto, tutto procede come ti aspetti, cioè con una resa visiva incredibile. Peccato che verso la fine, alcune scene d’azione, diventino artefatte quasi come ci trovassimo nella soggettiva di un videogioco.

Meno donnaiolo e con lunghi inserti da provetto innamorato, il nostro sembra poter fare a meno delle bond-girl, figure che rimandano a un femminile non gradito di questi tempi. Unica eccezione, un’eroina action ironica e buffa come quella incarnata da Ana de Armas: bellezza mozzafiato la cui eleganza ha del cartoonesco, nel senso che non è scalfita minimamente dalle incredibili acrobazie che la vedono coinvolta. Sono i soli minuti con retrogusto humor del film.

Colpisce di “007 – No time to die” che il mondo sia sotto scacco a causa di qualcosa di invisibile che arriva sottopelle e che priva della possibilità di toccare i propri cari, pena il rischio di ucciderli. Qualcosa che abbiamo vissuto nella vita reale e che, lo sappiamo bene, comporta sacrificio, termine la cui accezione etimologica recita “rendere sacro”.

A fine visione, tra le righe, resta una riflessione sull'amore, il cui potere è santificare il percorso di chi lo elegge a valore supremo, dandogli un senso.

“007- No time to die” celebra un mito rendendolo immortale in virtù della sua umana mortalità.

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