Acque, pellicole e divi: il grande cinema inizia dove finisce il Po

Da Visconti a Olmi fino ad Avati: oltre 500 tra film, documentari e fiction sono stati girati nel Delta

Acque, pellicole e divi: il grande cinema inizia dove finisce il Po

Di là dal fiume e tra gli alberi si stende una terra che dicono non esista. Mitologica e cinematografica. È il delta del Po, dove il Grande Fiume si confonde con l'Adriatico. Acque, lembi di sabbia, detriti, dolori e polìcinum: «terra paludosa». Ecco: è là in fondo che si estende il Polesine.

Da sempre nel delta dei grandi fiumi si raccolgono, insieme coi detriti e i depositi alluvionali, tutte le storie - di rabbia, di povertà, di tradimenti, di fatica, di amore, di sesso e di morte - narrate dagli uomini, ma quello del Po ha una caratteristica particolare. Lo aveva capito Gian Antonio Cibotto, ultimo grande cantore del grande mondo antico fatto di tèra e aqua, aqua e tèra, e lo mise in esergo al suo romanzo Scano Boa, che nel 1961 fu anche un film diretto dal dimenticato Renato Dall'Ara: «Il delta non esiste. Questa mobilità, questo aspetto liminare tra reale e immaginario, vita e morte conferiscono al delta del Po una strana fascinazione». E Scano Boa racconta la cruda e disperata storia della solitudine orgogliosa di un vecchio pescatore di storioni... E se rispetto a Hemingway, al suo Vecchio, al suo mare e il suo enorme marlin, il Delta del Po fosse la nostra Hollywood?

Percorriamo, a caso, un altro ramo del fiume. Il postino suona sempre due volte, romanzo di James M. Cain, fu un successo hollywoodiano. Sia nel 1946, regia di Tay Garnett. Sia nell'81, Bob Rafelson. Quando lo girò Luchino Visconti, nel '43, «liberamente ispirato», lo ambientò nella bassa padana, trasferendo l'Ossessione sul Po. La forza espressiva e la carnalità delle scene passionali tra Massimo Girotti e Clara Calamai segnano la nascita del filone neorealista. La pagina più importante del cinema italiano, nasce qui. Sul Delta. Paesaggio enigmatico, irreale, inconsueto. Il set non è mai stato abbandonato.

Tra i canneti e gli acquitrini, i canali e le valli da pesca, il Polesine ha fatto da scenario - provate a dirlo? - a cinquecento tra film, documentari, sceneggiati, fiction televisive - ma ci furono anche i servizi dei cinegiornali dell'Istituto Luce - firmati dai più bei nomi del nostro cinema: Rossellini, De Santis, Michelangelo Antonioni, Alberto Lattuada, Mario Soldati, Pupi Avati (il quale nel 1976 con La casa dalle finestre che ridono trasformò l'umida Bassa padana nel teatro provinciale di un sontuoso horror intellettuale), Ermanno Olmi, Carlo Mazzacurati... Così tanti titoli, così tanto materiale, da farci una mostra. Eccola: Cinema! Storie, protagonisti, paesaggi aperta a Palazzo Roverella di Rovigo (fino al 1° luglio). L'ha ispirata Angelo Zanellato, rodigino di Porto Tolle, presidente della Polesine Film Commission e del Consorzio per lo Sviluppo del Polesine. Poi l'ha organizzata e curata Alberto Barbera, il direttore della Mostra del cinema di Venezia, il quale quando ha iniziato a lavorare al progetto non era mai passato dalle terre del Delta (un luogo, come si è detto, che non esiste...) e neppure immaginava quante opere, e quanti capolavori, scorrono da settant'anni sulle acque dell'ultimo fotogramma del Po. L'argine (1938). Gente del Po (1947). Il mulino del Po (1948). Quando il Po è dolce (1951). Delta padano (1951), La donna del fiume (1954), Lungo il fiume (1992)... fino a Giuseppe Bertolucci, i fratelli Taviani, Silvio Soldini, i documentari di Elisabetta Sgarbi, gli horror di Ivan Zuccon...

Le storie e i materiali trasportati del fiume sono moltissimi. Locandine, manifesti, disegni, foto di scena (moltissime inedite), sceneggiature. E poi una saletta dove passano videomontaggi di sequenze di film, documentari, interviste filmate ai protagonisti. E sopratutto, sulla parete d'ingresso, una grande mappa geografica su cui sono segnate tutte (no, solo una parte...) le location cinematografiche del Polesine, da lassù, Melara, dove Luciano Ligabue - sì, c'è anche lui - ha appena girato Made in Italy, fino ai più sperduti canneti del Delta, laggiù, dove Goffredo Alessandrini e Francesco Rosi, siamo nel 1952, ambientarono Camicie rosse. In mezzo, un vasto territorio in cui navigano Antonioni (ci torna per Il grido, 1957, e Deserto rosso, 1964), l'ultimo episodio di Paisà (1946), lo «schermo ambiguo» di Gianfranco Mingozzi (La vela incantata, 1982), la provincia occulta di Tinto Brass (Miranda, 1985), oppure Un ettaro di cielo, esordio del 1958 di Aglauco Casadio con Rosanna Schiaffino e Marcello Mastroianni: sceneggiato da Tonino Guerra con Elio Petri e Ennio Flaiano, al botteghino fu un flop. Ma che film.

Sì, va bene. Ma alla fine, di cosa parliamo quando parliamo di cinema del Polesine? Parliamo di un luogo maledetto, per la sua brutalità. Alberto Barbera dice che è un «Altrove» rispetto all'Italia: una terra estranea all'urbanizzazione, alla modernizzazione, impregnato di povertà, ieri, e ricco di potenzialità, oggi. Le cui campagne e le cui acque custodiscono un patrimonio del nostro cinema. Ma il Polesine è anche un luogo magico. Qui nacque il neorealismo, si è detto. Qui Sophia Loren, che prima del film La donna del fiume era un'attrice come tante, divenne una star internazionale.

Qui, in qualche modo, il cinema italiano cominciò a parlare: la diva che interpretò La canzone dell'amore (1930), di Gennaro Righelli, primo film sonoro di produzione italiana ad essere distribuito, è Dria Paola, attrice - dalla bellezza straordinaria - di Rovigo.

Alla fine il Delta non esiste. Ma si sente.

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