La Lombardia è più di una regione. Con i suoi 10 milioni di abitanti, il doppio della Norvegia, è più grande e più popolata della Svizzera e dell'Austria. Quanto al PIL, lasciamo perdere, i confronti con interi stati dell'Unione Europea sono persino imbarazzanti. Ma affascinano soprattutto la sua storia e il suo presente, quello di una Lombardia plurale e pluralista, di cui Milano è soltanto una componente. Ogni territorio ha infatti il suo mito delle origini, dagli insubri ai camuni, dai celti ai longobardi e così via, scrive Stefano Bruno Galli, assessore regionale all'Autonomia e alla Cultura, nell'introduzione a Lombardia plurale. Idee e pensieri sul lombardismo.
Si tratta di una miscellanea con contributi ne cito solo alcuni di Roberto Chiarini, Angelo Crespi, Marco Cuzzi, Carlo Lottieri, Alberto Mingardi, Carlo Pelanda, Pier Luigi Vercesi, Stefano Zecchi. A tutti è stato chiesto «cosa evoca in te la parola Lombardia?» Dal punto di vista di ognuno risulta che l'identità culturale lombarda risiede in una tensione alla libertà, al lavoro, al pragmatismo e alla concretezza, all'efficienza e alla creatività, a una tenace dedizione alle attività economiche e produttive.
Non mancano i ricordi personali, per esempio toh il mio. Toscano di nascita i miei genitori mi portarono al nord Ospiate, frazione di Bollate a 14 anni, perché avevano trovato lavoro in una fabbrica.
Ospiate è a 12 chilometri in bicicletta dal duomo di Milano. Per andare a scuola prendevo il pullman delle 7.05, Autolinee Grattoni. D'inverno uscivo che era ancora buio e dopo un poco le mani mi si screpolarono fino a sanguinare, non avevamo pensato ai guanti. Al sabato andavo in centro con la bici, Baranzate, Vialba, la fatica del cavalcavia, poi vai, viale Certosa, piazza Firenze, corso Sempione, il parco e finalmente piazza Castello. Lì c'era Viel, ora non c'è più, che faceva frullati buonissimi a poco prezzo. Andavo a berlo, nel bicchierone di carta, davanti al Castello. Quel posto mi incantava, è stato senz'altro lì che diventai uno storico con un frullato in mano anche se ancora non lo sapevo.
Mi suggestionava la storia di Gian Galeazzo Visconti, che avevo orecchiato a scuola. Me lo immaginavo uscire a cavallo, la mattina del 5 settembre 1395, domenica. Aveva quasi 44 anni, quella domenica, e andava in Sant'Ambrogio per ricevere l'investitura ducale dalle mani del luogotenente imperiale. Il castello allora era diverso, molto più modesto, tozzo e basso, e Gian Galeazzo sognava già di conquistare l'Italia, cinque secoli e mezzo prima dei Savoia. Studiare la storia non serve soltanto a sapere cosa è accaduto, il bello è immaginare cosa avrebbe potuto accadere se Se l'Italia fosse stata conquistata da un signore lombardo, tanti secoli prima del Risorgimento.
Anni dopo, con la prima patente, dotato di una Prinz rossostanco usata e di una ragazza, andavo a imboscarmi appunto nei boschi intorno a Villa Arconati, vicino a Bollate.
Ignoravo che pochi giorni fa il suo presidente, Augusto Rancilio, mi avrebbe invitato a visitarla: special guest, come dicono i malati d'inglese.Insomma, in questa mia storia comune, di comune c'è anche che la Lombardia mi ha dato tanto. È un'altra sua caratteristica.
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