Un anno vissuto ad arte: Urs Fischer è il flop Damien Hirst il top

Venerati maestri, curatori incuranti e tecnici smontati. Il meglio e il peggio in esposizione

Un anno vissuto ad arte: Urs Fischer è il flop Damien Hirst il top

Agli archivi il 2017 passerà come l'anno in cui Biennale di Venezia, Documenta di Kassel e Skulptur Projekt si sono fatte concorrenza ai fini di individuare il destino dell'arte contemporanea. Eppure le mostre più apprezzate, all'unanimità, risultano quelle classiche, risultato di studi attenti, filologia applicata e senso dello spettacolo. Segno che, comunque la si guardi, l'Italia è un Paese che preferisce la sicurezza della tradizione. L'anno dei nuovi musei monstre e dei tanti, troppi, che invece vivacchiano senza idee e con pochi soldi. L'anno di qualche immancabile polemica e senza troppi guizzi. L'anno che ha visto la scomparsa di grandi maestri, la conferma di alcuni quarantenni, l'incertezza a proposito dei giovani destinati a raccoglierne il testimone.

Riprendendo il gioco che da 34 anni Il Giornale dell'Arte propone sulle sue colonne, «il meglio e il peggio» un tempo affidato a voci esperte, oggi esteso a macchia d'olio a opinionisti più o meno competenti, ecco il nostro bilancio per un anno artistico che, comunque, merita una piena sufficienza.

La fine delle arti-star

Era nell'aria da tempo. Divi, personaggi, fenomeni da baraccone non sono più graditi come negli anni '90. Oggi i temi sono urgenti e il glamour sembra davvero inadatto a rappresentarli. Maurizio Cattelan, ad esempio, non fa più ridere e vederlo in giro per mostre e feste con codazzo al seguito immalinconisce chi ne apprezzava il corrosivo sarcasmo (voto 3). Ai Weiwei è il più colossale furbacchione, votatosi alle passerelle del cinema dopo aver occupato i musei; il suo film Human Flow sa di ennesima presa per i fondelli (2). Quanto alla scultura di Urs Fischer, 12 metri atterrati a Firenze senza un perché, la risposta l'ha data la cittadinanza, infastidita da un coso-plasticoso che non c'entrava niente (0). Resiste, invece, Francesco Vezzoli nel doppio ruolo artista/curatore, dimostrando che in assenza di nuove idee si può studiare e reinterpretare il passato (7). Fa eccezione Damien Hirst. La doppia mostra veneziana ha diviso la critica tra fan assoluti e detrattori prevenuti. Un sogno, un trip, il kitsch all'ennesima potenza. Semplicemente adorabile (9).

Gli addii

2016 aveva falcidiato il mondo del rock. Nel 2017 se ne sono andati grandi maestri del '900 - Jannis Kounellis, Enrico Castellani, Howard Hodgkin, Emilio Prini, James Rosenquist, Vito Acconci, AR Penck, Tim Rollins - delicati pittori - Tino Stefanoni - funamboli - Omar Ronda, inventore della Cracking Art - fotografi - Claudio Abbate - e critici - John Berger. Segno dei tempi. Non sarà facile trovarne dei nuovi, di personaggi cosi (senza voto, tristezza).

L'estate del grand tour

Persino una Biennale da 6, curata con attenzione ma senza particolari squilli da Christine Macel (5/6), è riuscita a fare una degna figura di fronte alla peggiore Documenta di sempre (2), senza capo né coda, brutta e pretestuosa, dove l'opera è scomparsa e ne è rimasta solo l'intenzione. Pessimo Adam Symczyk (1) che ha lavorato male sul non far capire nulla, inventandosi pure l'inutile prequel ad Atene. Anche Skultptur Projekt non ha convinto (4,5), un modello di mostra diffusa in tutta la città di Munster, difficile da trovare, nonostante la piacevolezza di un giro in bicicletta. Tornando a Venezia, buono il Padiglione Italia (Cecilia Alemani, 7), ottimo il lavoro di Roberto Cuoghi (8), come quello dell'eterno Paolo Baratta (8) che per il 2019 ha individuato Ralph Rugoff (sulla carta vale almeno 7).

Museo come evento, museo come tassa

Mentre ad Abu Dhabi si festeggia, con l'apertura del Louvre, la nuova frontiera del franchising (9), i nostri musei al meglio galleggiano - il MAXXI di Roma (6), il MART di Rovereto (5/6, ma ha perso l'identità), il Pecci di Prato (5, appena riaperto, via il direttore Fabio Cavallucci - 6). Scomparso dai radar il MAMBO di Bologna (4), agonizzante al solito il Castello di Rivoli (4), da barzelletta il MACRO di Roma (3). Da applausi, invece, il lavoro di Andrea Viliani (7,5) al Madre di Napoli (7), soprattutto per aver scoperto che il contemporaneo, se accostato all'antico, funziona molto meglio. Ecco perché nella hit parade delle mostre del 2017 metteremo «Il Cinquecento a Firenze» (7,5), Bernini a Roma (8,5), Caravaggio a Milano (8). Da lustrarsi gli occhi.

Polemiche grandi e piccine

Ma 'sto Salvator Mundi varrà davvero tanti soldi? Ed è davvero un Leonardo autentico (giudizio sospeso)? Si tratta unicamente di una bolla speculativa, destinata prima o poi a esplodere, oppure ha senso che il mercato dell'arte rincorra record su record, portandosi dietro il re del pop Andy Warhol (assegno circolare, 8)? A casa nostra, Genova al centro di chiacchiere, prima per la questione dei presunti falsi Modigliani esposti a Palazzo Ducale (mostra modesta, 4), poi per la nomina del comico Luca Bizzarri alla presidenza che, avendo fatto arrabbiare molti, un po' ci diverte (6). Quando si scrive un libro bisogna metterci delle idee controcorrente, sennò è inutile. Ci hanno pensato Tomaso Montanari (intelligente ma troppo talebano, 6 di stima) e Vincenzo Trione (coltissimo ma incoerente, 6 anche a lui) prendendosela con le mostre Blockbuster. Però questa catena di vendita-affitto di vhs-dvd non esiste più da anni, tocca cambiare il nome.

Meglio un politico di un tecnico

Sì, perché se un politico sa far bene il suo mestiere, gli piace, ci mostra attenzione, alla fine è l'uomo giusto al posto gusto.

Certo, Dario Franceschini (7) sta già pensando a incarichi più importanti, fino alla presidenza della Repubblica, ma per ora non sminuisce affatto il suo dicastero. Grana Uffizi a parte, brutto l'addio di Elke Schmidt (3) - non dirigeva mica una bocciofila - ha dimostrato di saper prendere decisioni, che poi è il suo mestiere.

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