"La Arendt è così scomoda che nessuno voleva il film"

La regista Margarethe von Trotta racconta la filosofa che studiò le analogie tra nazismo e stalinismo. Rivelando che per otto anni non ha trovato finanziamenti neppure negli Usa

"La Arendt è così scomoda che nessuno voleva il film"

Da fine gennaio sarà in distribuzione anche in italiano Hannah Arendt, il nuovo film di Margarethe von Trotta, regista di Anni di Piombo (Leone d'Oro a Venezia nell'81), e di una serie di film improntati a donne forti, in testa Rosa L., sulla Luxenburg, con Barbara Sukowa, Palma d'oro a Cannes nell'86. Von Trotta è stata premiata nei giorni scorsi al Festival dell'Eccellenza al femminile di Genova. Qui, domani, al cinema The Space del Porto Antico, si potrà assistere all'anteprima assoluta di questo film che ricostruisce gli anni ('60-64) in cui la filosofa e giornalista ebrea Arendt pubblicò un reportage che provocò uno scandalo internazionale. Il nodo del contendere era la sua nuova chiave di lettura dell'Olocausto.
Oggi, le teorie della Arendt susciterebbero ancora scalpore?
«Il film è uscito negli Usa in aprile, sollevando subito polemiche, e non per il film in sé, ma per la Arendt. C'e chi è a favore e chi contro, proprio come accadde negli anni Sessanta».
La critica internazionale sostiene che il film è ben documentato scenograficamente, preciso, ma spesso didattico. Che cosa risponde?
«Chi osserva questo non ama la teoria. Considerato il soggetto, non potevo procedere come si fa con un videoclip, dovevo spiegare nei dettagli, altrimenti la comprensione sarebbe stata faticosa. È realizzato in modo classico, ma non avevo altra scelta».
È fresca del Premio Ipazia, a Genova. Ha senso distinguere fra eccellenza femminile e maschile? L'eccellenza non dovrebbe essere asessuata?
«Il punto è che gli uomini parlano solo di quella maschile, quindi è il caso che noi donne facciamo un po' di promozione».
Quali problemi incontra una regista donna che racconta donne?
«Per esempio fatica a ottenere finanziamenti per i film».
Anche per una pellicola come Hannah Arendt?
«Pensi che sono stata bloccata otto anni perché non riuscivo a trovare sovvenzioni. Poi, a Colonia, ho incontrato una produttrice fantastica che ha fatto di tutto per realizzare il progetto. Per un uomo i tempi sarebbero stati più corti».
È un problema della vecchia Europa o mondiale? Negli Usa, per esempio, che cosa accade?
«Negli Usa è peggio, mi risulta. Hannah Arendt è stato coprodotto da Lussemburgo, Francia, Germania e Israele. In America non ho trovato sostegno, infatti tutte le scene ambientate a New York, in realtà sono state realizzate in un teatro di Lussemburgo».
Nel suo prossimo film, una donna scopre di avere una sorella. Spunto autobiografico?
«Sì, soltanto dopo la morte di mia madre ho saputo di avere una sorella. Diversamente da tanti miei film su personaggi storici, qui mi dedico a due donne normali».
Uomini italiani maschilisti: stereotipo o verità?
«Io sono tedesca, e le dico che anche i tedeschi sono maschilisti. Non lo manifestano in pubblico, ma in casa si comportano come gli italiani, né più né meno».
E come vede le donne italiane?
«Mi spiace che siano ancora troppe a voler essere oggetti anziché soggetti. Mi fa pena vedere donne che attribuiscono così grande valore al corpo e alla bellezza. Raggiunta una certa età, cosa accadrà di loro? Non ci pensano?».
È un fenomeno globale, non solo italiano...
«Ma in Italia è più ricorrente che altrove. O forse c'entra il fatto che quando si ama profondamente una cosa, alludo al mio trasporto per l'Italia, spiace ancora di più vedere ciò che non va».
La Scala apre la stagione con La Traviata.

Le piacerebbe curare la regia di quest'opera?
«Mi sono occupata di lirica con Lulu di Berg. Se dovessi tornare all'opera, sceglierei proprio La Traviata. Certo, nella lirica tutte le donne muoiono per gli uomini e mai viceversa. Non è giusto».

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