Ballando nudi sul mondo alla ricerca del Monte Verità

A Firenze la prima mostra italiana sulla "comune" che fra anarchia e natura aprì il '900. Con tante idee così attuali...

Ballando nudi sul mondo alla ricerca del Monte Verità

Il Monte Verità è una collina sopra Ascona, nel Canton Ticino, Svizzera. Monte Verità è un monte che si chiamava Monescia, poi un secolo fa, a inizio '900, un gruppo di anarchici e spiriti liberi gli cambiò nome, fondando una comunità di persone accomunate da aspirazioni utopistiche, vegetariane, naturiste, teosofiche. Monte Verità è un territorio fisico e un'idea ideale. Monte Verità è «il luogo dove la nostra fronte sfiora il cielo». È un paradiso minore affacciato sul lago Maggiore. È una colonia di nuovi Adami nel cuore della civiltà europea. È la terra della rinuncia al centro della nazione delle grandi banche. Monte Verità è una aspirazione, una meditazione, un inceppamento vitale della storia umana, e a sua volta una lunga storia che attraversa mezzo Novecento... Monte Verità, ora, è una mostra, la prima in Italia dedicata alla «collina dell'utopia»: Monte Verità. Back to Nature, inaugurata ieri, fino al 10 aprile, al Museo Novecento di Firenze.

«L'aspetto più sorprendente dell'esperienza di Monte Verità è che quel piccolo pezzo di mondo, in quel preciso momento storico, generò una potentissima attrazione per artisti e menti creative un po' come - ecco un altro motivo per cui ospitiamo qui la mostra - accadde alla Firenze di Cosimo de' Medici e l'Accademia neoplatonica di Careggi per così tanti geni dell'arte e del pensiero. Furono entrambi dei magneti culturali e spirituali», spiega Sergio Risalti, curatore della mostra assieme a Nicoletta Mongini, responsabile culturale della Fondazione Monte Verità di Ascona, e la critica e storica dell'arte Chiara Gatti.

Un magnete che, negli anni, fra aneliti libertari e buen retiro, richiamò lassù la medium e occultista Helena Blavatsky, l'anarchico Bakunin, il coreografo Rudolf von Laban, la danzatrice Isadora Duncan, il dadaista Hugo Ball, l'architetto del Bauhaus Walter Gropius, gli artisti Hans Arp e Paul Klee, lo scrittore Hermann Hesse, il neurologo Otto Gross, il filosofo e psicanalista Carl Gustav Jung... Sono tutti qui, in effigie, su un enorme pannello fotografico lungo uno dei corridoi coperti del chiostro del museo, sotto la scritta in ceramica dorata - opera di Fabrizio Dusi - «Utopia».

Benvenuti sulla collina dell'Utopia, paradiso anarchico, piccola agarthi inaccessibile, culla di un'esistenza primigenia, centro vitale dell'energia del mondo, sorprendente laboratorio di una nuova cultura, no: una «controcultura» in risposta al conformismo borghese e al pensiero dominante. Ascona revolution. L'intero chiostro del museo del Novecento a fare da palcoscenico, un centinaio di opere fra manifesti, sculture, dipinti, oggetti originali, fotografie, libri, filmati, costumi; e una sottile linea rossa, fra pensiero e azione, che serpeggia attraverso la mostra come un cavo elettrico a collegare passato e presente: e cioè l'idea che la congregazione laica di Monte Verità anticipò in modo profetico e combattivo moltissimi temi dell'oggi, fra ecologia radicale, cura dell'anima e benessere del corpo, vivere nella e per la Natura - che allora si diceva nudismo, oggi eco friendly - cultura vegetariana, femminismo ante litteram e meditazione...Et in Arcadia eco.

L'epopea filosofico-esistenziale di Monte Verità è lunga oltre mezzo secolo. Dal 1900, quando un piccolo gruppo di «riformatori della vita», rappresentanti di una terza via possibile nello scontro ideologico tra capitalismo e comunismo (e il fatto che provenissero tutti da famiglie borghesi benestanti non è una contraddizione) creò una comunità «vegetabiliana» presto diventata casa di cura e sanatorio, fino al 1945, anno della pace di Ascona, siglata proprio qui fra gli Alleati e il Comando superiore germanico, dopodiché molti adepti si dispersero fra gli Stati Uniti e l'Europa. Culto della vita primitiva, religiosità naturistica, rivolta anti-industriale, amore libero, Lebensreform e teosofia.

La mostra Monte Verità. Back to Nature racconta l'intera storia in tre tappe: i pionieri e le origini filosofiche del Monte, lo sviluppo della sua architettura (qui sorge l'albergo Bauhaus, realizzato negli anni 1927-29 dall'architetto Emil Fahrenkamp, con ancora oggi gli arredi originali in stile) e l'arte della danza, fulcro di una interdisciplinarietà che ha sempre contraddistinto i figli primigeni della Verità. Che furono letterati, pittori, musicisti, liberi pensatori, architetti, poeti...

Pezzi notevoli della mostra: la sagoma a grandezza umana della fotografia «Gioia nella libertà» che rappresenta il saluto al sole dell'illustratore tedesco «Fidus», pseudonimo di Hugo Höppener (1868-1948). I modellini in scala 1:20 delle capanne «aria-luce» in cui vivevano i coloni della comunità alternativa. Un menu vegetariano del sanatorio di Monte Verità datato 1906 (myrtilles, noix de coco e legumes...). L'anti-trono di legno del cofondatore della comune, Karl Gräser (una sedia ricavata intagliando un ceppo d'albero). Un rarissimo filmato dei primi del '900 con le danze della scuola di Rudolf von Laban. Un volantino pubblicitario dell'Albergo Monte Verità del 1928, quando accanto alla figura del Buddha e del sole nascente si poteva già mettere il disegnino di un campo da golf... Wildness e business.

E per il resto è curioso, e significativo, ritrovare quell'idea radicale di indipendenza cullata dagli abitanti di Monte Verità - un non-lieu molto fisico della controcultura novecentesca - in tante rivendicazioni libere, libertarie e libertine di oggi - non si inventa nulla, soltanto si ripete tutto - come l'abbattimento di ogni gerarchia, sociale e sessuale, il sogno di un mondo senza classi, il culto non esente da forme di fanatismo per la Natura, l'armonia dei corpi e dei generi quando ancora non esisteva il gender, la ricerca di una nuova era molto prima della New Age, e la

coscienza che Another world is possible senza ci fosse bisogno degli ecologisti à la Greta. Forse gli utopisti di Monte Verità erano più con-fusi, che significa «messi insieme senza un ordine», è vero, ma anche più puri.

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